di Enzo Cuzzola – La domenica mattina il salone da barba era gremito, molti avventori erano addirittura costretti ad attendere il loro turno fuori dalla bottega, riparati sotto il balcone sovrastante o addirittura nell’androne di casa Uzzolino, appena accanto. Durante la settimana gli uomini lavoravano, prevalentemente, nei campi o nei cantieri edili, per cui la domenica era d’uso mettersi in ordine, anche perché non erano in molti che riuscivano a radersi da soli, infatti il rasoio a mano libera, che si usava, era un attentato alla incolumità del viso. Allora si ricorreva, appunto la domenica mattina, al barbiere, che non solo radeva e periodicamente tagliava i capelli, ma dava anche una riordinata a sopracciglia e peluria varia, quando periodicamente non tagliava anche i capelli.
Vincenzo si destreggiava come un Figaro, con rasoi a mano libera e sfilzini, forbici e pettini, spazzole e pennelli vari. La barba era un rito piacevole, a giudicare dalla soddisfazione con la quale i clienti si alzavano dalla poltrona. L’avventore si accomodava sulla apposita poltrona, nel salone ce ne erano due ma Vincenzo ne utilizzava quasi sempre una sola, quella più vicina alla porta di ingresso, dove c’era più luce. Una volta mi spiegò che in quel modo avrebbe sforzato di meno gli occhi ed avrebbe risparmiata una delle due poltrone, per invertirle, quando la prima si fosse usurata. Vincenzo intingeva e poi strizzava un panno nell’acqua calda che teneva sempre sul fuoco in apposito bollitore nel retrobottega. Appoggiava sulla faccia il panno caldo ed umido per un paio di minuti. Successivamente intingeva un folto pennello di setola in una ciotola di acqua calda e poi lo appoggiava nella ciotola metallica nella quale vi era del durissimo sapone da barba (il più pregiato era a base di sego), bastava appena un tocco. Il pennello veniva passato sulla faccia fino a quando il sapone da barba, abilmente montato da Vincenzo, che spesso assieme al pennello sfregava sul viso il dito indice per meglio compiere l’opera, non diveniva una morbida e soffice schiuma. Allora Vincenzo passava al rasoio a mano libera. Lo strusciava sulla apposita cintura di cuoio attaccata alla parete accanto allo specchio, poi via con la rasatura.
Era una vera arte. Quando la rasatura riguardava i punti più delicati, come la gola o accanto alle orecchie, Vincenzo invitava il cliente a tacere per qualche minuto, poi bloccava i movimenti tenendo leggermente, con la mano sinistra, la punta del naso e via. Finita la rasatura passava a rimarginare con la matita emostatica gli immancabili piccoli tagli, dovuti alla rasatura settimanale, e poi strofinava accuratamente il viso con l’allume di rocca, per disinfezione. Successivamente una spruzzatina di acqua di colonia, poi invitava il cliente a guardarsi allo specchio. A volte sistemava anche il “cozzetto”, quindi poneva uno specchio dietro la nuca in modo che ci si potesse guardare, attraverso il gioco di specchi, anche in quel posto.
Zio prete faceva la barba tutte le mattine, prima di andare a celebrare. Diceva che la barba è un piacere mattutino, che chi può deve concedersi.



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