Dieci anni fa moriva a Bagdad lo 007 reggino Nicola Calipari, un eroe dimenticato

StrettoWeb

Sono già passati dieci lunghi anni da quando, la notizia della morte fatale a Bagdad il 4 Marzo 2005 di  Nicola Calipari agente segreto dei servizi italiani, rimbalzò dall’Iraq e si propagò in tutto il mondo. In particolar modo, rieccheggiò drammaticamente in Calabria, patria della vittima. Nicola Calipari infatti è nato a Reggio Calabria il 23 Giugno 1953, e proprio alla Calabria legava i suoi ricordi di vita più belli e spensierati, quelli della gioventù. Territorio, quello calabrese, che ha forgiato i suoi principi ed i suoi valori che lo hanno condotto davvero lontano nella sua carriera e che gli hanno permesso, oggi, di essere ricordato come un valoroso protagonista. Fu ucciso dai soldati statunitensi in Iraq nelle fasi successive alla liberazione della giornalista del manifesto Giuliana Sgrena: seppur siano passati dieci anni, questa vicenda è vivida nelle menti degli italiani ed in particolar modo dei reggini, che hanno perso un loro concittadino così valoroso da essere considerato un vanto per la Calabria e per tutta l’Italia. Quel tragico giorno, come risultò dalla ricostruzione dei fatti, Calipari viaggiava su un’automobile insieme ad un carabiniere ed all’ostaggio liberato, la Sgrena, diretti all’aeroporto di Baghdad. Il caos volle che, lungo la strada, un posto di blocco statunitense aprì il fuoco proprio sull’automobile della Servizi segreti italiani colpendo mortalmente Calipari e ferendo gli altri due passeggeri. E ci si chiede ancora oggi che morte possa mai essere questa, una morte non per mano nemica ma per mano di coloro che avrebbero dovuto essere alleati, gli americani. Dopo dieci anni dall’accaduto, ancora oggi  persistono le polemiche e le indiscrezioni fra Usa ed Italia sulla dinamica della vicenda.

In onore di Calipari, si è svolta stamane nella Questura di Reggio Calabria, alla presenza dei Dirigenti e dei Funzionari della Questura e della provincia reggina, oltre ad una rappresentanza del personale della Polizia di Stato e dell’A.N.P.S., una cerimonia commemorativa in occasione della ricorrenza del decennale della sua morte.

Una carriera eccellente alle spalle: arrivò agli alti vertici dei servizi segreti a cui, davvero solo i più capaci possono ambire. Un vanto per l’Italia, perché ha svolto il suo lavoro anche quel fatidico 4 marzo di ormai 10 anni fa, con  scrupolo e professionalità, come il suo codice deontologico professava, ma soprattutto come i suoi principi e valori gli suggerivano di fare: salvare l’ostaggio, salvare chi era in pericolo, dinnanzi a tutto ed a tutti, anche se ciò avrebbe voluto dire sacrificare la propria di vita. Proprio come è successo. Pare che, secondo le testimonianze rilasciate dalla giornalista Sgrena che si trovava seduta nei sedili posteriori dell’autovettura, Calipari, prontamente ed istintivamente quando si aprì il fuoco spostò il proprio corpo verso il centro dell’auto come a voler far scudo per proteggere chi  fosse in quell’auto.

Molti si chiedono se, coloro che fanno il lavoro di agente segreto siano solo persone alimentate da un’esigenza di realizzazione personale, disposti infatti a mettere la propria vita in pericolo non curandosi delle persone, della famiglia e dei cari a cui causano ansie, preoccupazioni e dolore. E’ difficile spiegarlo, sarebbe come chiedere ad un campione perché pratica quello sport, sarebbe come chiedere ad un esperto di geologia o meteorologia perché fa quel mestiere. C’è solo una parola che lo spiega ed è la passione. Nicola Calipari era mosso dalla passione: passione per la difesa del proprio paese, passione per il proprio popolo. Era questo che lo motivava sul lavoro e nelle sue missioni;  e che lo hanno motivato anche durante quegli attimi frenetici, con la consapevolezza che forse da lì, non se ne sarebbe usciti vivi. Così come è stato. Ed allora ci si chiede chissà se ha avuto paura in quei tragici secondi e se ha avuto il tempo per farlo; come tutti gli esseri umani di fronte ad una situazione altamente rischiosa è innaturale pensare che nella mente di Nicola Calipari non sia apparso un barlume di paura, seppur fugace. Un barlume di paura che poi, ha lasciato posto all’alto senso di responsabilità verso la sua professione, verso i suoi colleghi, verso la propria patria e soprattutto responsabilità verso l’ostaggio che doveva proteggere. Per Calipari non era solo lavoro, non era solo questione di disciplina militare, non era solo etica: era anche umanità.

Fin dalla sua più tenera età dimostrò un senso di solidarietà e di passione verso il prossimo, con uno spiccato spirito di avventura, tanto che fece attivamente parte degli scouts nel reparto Aspromonte del gruppo Reggio Calabria 1 dell’Associazione Scouts cattolici Italiani (ASCI), fino a diventare nel 1973 capo scout nei gruppi Reggio Calabria 1 e Reggio Calabria 3 Agesci. Si laurea in giurisprudenza e dopo, nel 1979, decide di intraprendere la carriera nelle forze dell’ordine, in Polizia. Da questo momento in poi inizia per Nicola Calipari un esclation di successi nella sua carriera, che lo hanno portato a scalare i vertici gerarchici più importanti, ricoprendo vari incarichi fra cui: dirigente della squadra mobile e vice capo di gabinetto della questura di Cosenza,  vice dirigente della squadra mobile della Questura di Roma e successivamente ne diventa primo dirigente, da qui diventerà direttore del centro inteprovinciale criminalpol di Roma. Dal 1999 diviene Direttore della 3ª e della 2ª Divisione del Servizio Centrale Operativo (SCO) della Direzione Centrale per la Polizia Criminale. Successivamente ricoprì la carica di Vice Consigliere ministeriale alla Direzione Centrale per la Polizia Stradale, Ferroviaria, di Frontiera e Postale del ministero dell’Interno ed in seguito Dirigente dell’Ufficio Stranieri della Questura di Roma. Sarà solo nel 2002 che deciderà di entrare nel Sismi, il  Servizio per le informazioni e la sicurezza militare. Successivamente diviene Capo della 2ª Divisione “Ricerca e Spionaggio all’Estero” del SISMI e viene assegnato alle operazioni in Iraq.  Calipari, proprio sul fronte iracheno, parteciperà con successo alla trattative per la liberazione delle due donne ostaggio Pari e Torretta e dei tre addetti alla sicurezza Cupertino, Agliana e Stefio ma che purtroppo, proprio in quella tragica occasione, nulla si riuscì a fare per evitare l’uccisione di Fabrizio Quattrocchi ed Enzo Baldoni.

Con un’esperienza di tale portata difficilmente si sarebbe potuto credere che un uomo come lui potesse cadere nella trappola della morte, e che morte poi: non in mano agli iracheni, al nemico, ma bensì degli americani. La dinamica dei fatti di quel tragico giorno pare, secondo fonti autorevoli come segue: la sera del 4 marzo del 2005, Giuliana Sgrena riuscì ad essere liberata dai rapitori iracheni. La donna, salì a bordo dell’autovettura dei servizi segreti italiani con a bordo appunto Calipari e l’autista Andrea Carpani, maggiore dei carabinieri in forza al Sismi. La vettura viaggiava in direzione dell’aeroporto di Baghdad dove, da lì, la Sgrena, sarebbe stata imbarcata in un volo diretto in Italia. Lo stesso Calipari, proprio qualche attimo prima aveva avvertito telefonicamente della liberazione della donna il Governo di Roma e l’ambasciata italiana. “Siamo in tre, siamo in macchina e stiamo rientrando”  le ultime parole pronunciate da Nicola Calipari. All’altro capo del telefono c’è il direttore del Sismi Nicolò Pollari. Il caso volle che la macchina viaggiasse su una strada, la Route Irish, bersaglio di molte azioni ostili proprio in quel periodo e dunque presidiata da molti posti di blocco americani.

Secondo i fatti, la macchina del Sismi è stata bersaglio di circa 15, o forse  anche più, colpi di mitragliatrice che hanno colpito a morte Calipari e ferito l’autista e la giornalista. Colpi che, secondo la ricostruzione certosina ed analitica fatta dalla magistratura italiana, sono partiti dall’ arma di Mario Lozano soldato americano della 42° divisione della New York Army National Guard, seppur, non si escluse già fin dall’epoca dei fatti, un probabile coinvolgimento e partecipazione alla sparatoria anche di altri soldati presenti in quel posto di blocco. Come è stato possibile che un posto di blocco Usa faccia fuoco su un’ autovettura senza un valido motivo? La questione sulla sparatoria ha creato non pochi attriti proprio fra Usa ed Italia, accompagnati da molti rumors mediatici e non, a livello internazionale. Dinamica dei fatti, che tutt’oggi, in parte, resta avvolta dal mistero: perché il soldato ha sparato sulla macchina italiana del Sismi?

In questa vicenda la testimonianza della Sgrena  è stata una chiave fondamentale per la ricostruzione, meno utile invece  quella del carabiniere che all’epoca  non rilasciò dichiarazioni pubbliche ma solo per via traversa per mezzo dei propri vertici gerarchici ( testimonianze poi raccolte nel libro “Diario di una spia  a Baghdad realizzato da un’ agente del sismi presente nella capitale irachena all’epoca dei fatti). La Sgrena dichiarò di ricordare che l’auto stava facendo una curva ad una velocità di 50 km orari circa, e , subito dopo aver svoltato, una luce accecante li ha investiti e gli spari hanno squarciato il silenzio. La pattuglia dei soldati americani non aveva fatto minimamente accenno ad un possibile ALT e dunque quei colpi a detta dei testimoni, sono stati ingiustificati e senza senso. Se fosse stato intimato l’ALT quale motivo avrebbe dovuto avere la vettura del sismi a non accostare per poter far svolgere ai militari americani il proprio lavoro di controllo?

Ma fu prodotta anche un’altra versione dei fatti dalle fonti americane, completamente in contrasto con quella italiana. Partendo dalle testimonianze dei militari presenti sul posto quella sera: l’auto viaggiava a velocità sostenuta e i soldati si attennero alla procedura formale di intimazione alt, che la macchina non ha rispettato. I soldati americani si difesero inoltre dichiarando che  né il governo americano, né l’ambasciata né nessuna delle forze dell’ordine americane in territorio iracheno fossero stati informati della presenza dell’auto del sismi, né questa poteva essere riconoscibile poichè era un’autovettura noleggiata a Baghdad,  per  tanto non istituzionale. Ciò spiegherebbe l’intimazione di fermarsi prima, ed al proseguire dell’auto gli spari, dopo. I soldati si erano dunque attenuti in piena conformità al protocollo senza nessuna anomalia e che non si spiegavano il perché la vettura italiana non avesse rispettato l’ordine di fermarsi. Tragica fatalità dunque? E’ possibile pensare, oggi, alla luce dei fatti e delle testimonianze, che i soldati americani abbiano rispettato il protocollo ma che la vettura del sismi, forse per distrazione, per le luci troppo accecanti del posto di blocco che gli si presentò davanti non abbiano visto nessun segnale di alt continuando a procedere sulla strada?

Peraltro  i contrasti furono alimentati anche dalle dichiarazione della Sgrena a cui i suoi rapitori dissero che gli Americani non erano d’accordo con i metodi italiani del Sismi: pronti a pagare fior fiore di riscatti per liberare i propri ostaggi e che questa linea d’azione non fosse quella corretta poiché i terroristi, non avrebbero fatto altro che aumentare i rapimenti consci del fatto che gli italiani ”pagano, pagano sempre. Alla luce di ciò, verrebbe naturale accennare anche alla recentissima liberazione delle due cooperanti italiane sequestrate in Siria,  Greta Ramelli e Vanessa Marzullo. Pare, secondo molte voci più o meno attendibili, che l’Italia abbia pagato fior fiore di quattrini per la loro liberazione, una modica cifra di circa 12 milioni di euro.  Ma questa, non è la sede adeguata per affrontare la polemica. Occorre invece tralasciare le varie polemiche, le colpe, le controversie, le fatalità e i miserunderstanding  internazionali alimentati per la questione Calipari fra Usa ed Italia. Occorre lasciare spazio a chi, da questa storia, ammesso sia stata davvero una tragica fatalità ed un incidente, ne ha tratto le conclusioni peggiori trovandovi la morte.

Nicola Calipari è stato insignito il 19 marzo 2005 dal Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, della medaglia d’oro al valor militare alla memoria. Il 30 marzo 2005 gli è stato dedicato l’auditorium di Palazzo Campanella, sede del Consiglio Regionale della Calabria, in Via Portanova a Reggio di Calabria. Ed inoltre, il 3 marzo 2006 è stato inaugurato un cippo commemorativo nel Comprensorio di Forte Casal Braschi a Roma, sede storica del SISMI. Il 4 marzo 2010 gli fu dedicata un’aula presso la Palazzina Studi della Scuola Superiore di Polizia, a Roma. Nei seguenti Comuni italiani esiste una “Via Nicola Calipari” : Ancona, Cagliari, Catanzaro, Grottaglie, Mantova, Palermo, Parma, Ragusa, Teramo ed in  molti altri ancora  che hanno voluto ricordare nel loro piccoli che il popolo italiano, di qualunque regione sia, Nord o Sud, riconoscerà sempre il valore di un uomo di patria come lo è stato Nicola Calipari: perché di fronte all’amore ed alla dedizione per la propria nazione, come quella di Calipari e di molti altri italiani protagonisti di vicende simili e che hanno incontrato la morte in nome della difesa del nostro paese e di tutti gli italiani, non esistono regionalismi che inneggiano alla separazione culturale ed inutili movimenti separatisti. Tutti italiani, tutti sotto un’unica bandiera, il tricolore. Così, forse, avrebbe voluto anche Nicola Calipari, la cui vicenda è ricordata anche nella canzone di Samuele Bersani, “L’aldiquà” a cui dedica queste parole: “e chissà che poi non capita che ad uccidermi sia per caso la pallottola amica di un marine”.

Condividi