di Carmelo Amato e Antonella Trifirò – E’ stata rigettata la richiesta di patteggiamento formulata da Nunzio Calabrò, presidente e fondatore della ditta Canditfrucht di Barcellona Pozzo di Gotto, il quale risulta indagato per concorso di smaltimento illecito di rifiuti non pericolosi derivanti dalla lavorazione degli agrumi, e si trova attualmente agli arresti domiciliari.
Per questo motivo Calabrò ha deciso di manifestare la propria disperazione incatenandosi presso la sua abitazione, in via Longano 131, per chiedere di essere ascoltato dal Procuratore della Repubblica Dott. Lo Forte. La protesta durerà a oltranza.
“Nego quanto mi viene addebitato, lavoro da 52 anni nella Canditfrucht. Per 40 come tecnico e 12 come amministratore e tecnico. Mi sono sempre adoperato perché l’azienda operasse legittimamente”. Sono parole pronunciate da Nunzio Calabrò durante l’interrogatorio del 19 giugno, dinnanzi al pm Dottor Sozio presso la Procura della Repubblica di Barcellona Pozzo di Gotto. “Sebbene intendo ribadire ogni addebito e contesto fermamente tutte le accuse che mi vengono rivolte , tuttavia al fine di evitare un gravoso processo che danneggerebbe me e l’azienda esprimo la volontà di definire il procedimento ai sensi dell’art 444 cpp”, si apprende ancora da alcuni stralci di dichiarazione resi dalla moglie di Calabrò.
Aggiunge ancora l’indagato: “Il cd“pastazzo” non è un costo per l’azienda ma è sempre stato venduto preso grosse società le quali ne pagavano il corrispettivo. L’azienda ha sempre sostenuto i costi di tutti i trasporti per il conferimento del sottoprodotto presso i siti autorizzati e, come confermato dal Tribunale del riesame di Siracusa anche i viaggi effettuati presso l’azienda di Lentini si sono rivelati legali. Solo in occasione delle indagini ho appreso che nonostante i regolari pagamenti effettuati molti viaggi non raggiungevano la destinazione prevista nei documenti contabili dell’azienda”.
Aggiunge la figlia : “Nonostante sia stato dimostrato con documenti, contratti ed autorizzazioni che l’intero sottoprodotto della lavorazione “pastazzo” viene consegnato già dal 2012 ad aziende operanti nel settore del Biogas purtroppo nessuna di dette circostanze viene presa in considerazione dalla magistratura procedente la quale si ostina a ravvisare in mio padre un imprenditore scellerato , restringendolo ai domiciliari sebbene non vi siano piu’ le relative esigenze e cio’ nonostante non sia attribuibile alla azienda alcun conferimento illegale di pastazzo”.
Ed ancora, Calabrò, rivolgendosi ai magistrati, afferma: “in relazione ai reflui industriali le valvole poste alla base dei silos servono a consentire la manutenzione della condotta . per questo motivo sono sempre aperte tant’è vero che è stato installato un sistema di allarme collegato ad alcune linee telefoniche che in ipotesi di problemi permettono ai responsabili di intervenire e risolverli. La presenza delle valvole non determina alcuno stoccaggio”.
Aggiunge la figlia : “Anche in ordine al problema dei reflui è stato spiegato e documentato come nessuna irregolarità nei termini contestati dalla Procura sia ravvisabile, ad ogni buon conto ci siamo dichiarati disponibili ad apportare tutti i correttivi che la magistratura vorrà indicarci. Stiamo pero’ ancora aspettando che sul punto ci vengano indicati i relativi accorgimenti da adottare”.
Infine nell’interrogatorio Calabrò dice: “posto che la magistratura non ha inteso chiudere l’azienda l’attuale amministratore giudiziario opera come stavo operando io e non comprendo questa differenza di trattamento. Preciso che l’amministratore ha dato continuità alla mia attività , che ribadisco essere legittima sia per quanto riguarda il conferimento del pastazzo in Calabria sia per quanto riguarda la contestazione relativa ai reflui, che non costituiscono rifiuti. Ciò ovviamente al di là delle attività fraudolente poste in essere dai responsabili dei trasporti”.
Infine l’indagato osserva che: “Il paradosso della giustizia italiana è che tutta la suddescritta attività posta in essere dall’amministratore nominato dall’ufficio della Procura procedente è di fatto considerata legale, mentre l’indagato si ritrova ancora ristretto per la medesima attività nei cui confronti il medesimo ufficio di procura ne assume una rilevanza penale!”.




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