
Ricorre quest’anno il centenario della nascita di don Francesco Gangemi, per tutti ”don Ciccio” o il ”professore”. Uomo di Chiesa sui generis, con idee moderne, che si e’ distinto per avere realizzato nel suo paese natale, Santa Cristina d’Aspromonte, la prima scuola per i ragazzi provenienti da famiglie che non potevano permettersi di dare un’istruzione ai figli. Una sorta di don Milani del sud, la cui storia e’ molto affascinante. A partire dalla sua stessa istruzione, con una laurea in lettere antiche conquistata a Padova di nascosto dal suo vescovo. La passione per l’educazione l’ha trasmessa alle generazioni successive alla sua, alle quali si e’ dedicato con profondo amore. Nel 1944 erano pochi i ragazzi che potevano frequentare la scuola media di Oppido, percorrendo a piedi le mulattiere tortuose del reggino. Don Ciccio Gangemi era tornato da poco a casa, dopo un’esperienza come parroco a Delianuova che pero’ gli era stata stretta. E allora, su richiesta di alcuni genitori, trasformo’ alcuni vani della casa paterna nella scuola superiore del paese. L’aula per le lezioni era la cameretta di don Ciccio Gangemi, e in un’altra stanza ricavo’ lo studio. Sono stati venticinque gli studenti che hanno potuto proseguire gli studi, ragazzi e ragazze. Il prete-professore dava lezioni a tutti, anche se poteva essere ripagato soltanto con fagioli secchi dalle famiglie piu’ povere. Nell’impostazione della sua scuola, i piu’ grandi aiutavano e guidavano i piu’ piccoli, aiutandoli a essere responsabili. Molti di quei ragazzi hanno studiato all’universita’ e sono diventati stimati professionisti. Tra essi ci fu anche Rocco Palamara, magistrato e padre del presidente dell’Anm Luca Palamara. In uno scritto per conto del padre proprio in occasione del centenario della nascita di don Ciccio Gangemi, il magistrato riporta: ”Mio padre mi raccontava episodi e aneddoti di questa fase della sua adolescenza, di cui e’ stato sempre orgoglioso anche quando era ormai un affermato magistrato. I suoi racconti si traducevano per me in un monito a non dimenticare mai le radici e ad apprezzare l’importanza dei sacrifici, della solidarieta’ e dell’applicazione umile e costante per conseguire una crescita umana e culturale. Un insegnamento che noi delle successive generazioni piu’ fortunate forse non riusciremo mai ad apprezzare nelle sue giuste dimensioni. Ma questo insegnamento continua a essere valido anche e soprattutto nel difficile oggi”. ”Se ti applichi come si deve, ce la puoi fare”. Era una delle massime preferite che don Ciccio Gangemi, il don Milani d’Aspromonte, ripeteva ai suoi studenti per invogliarli a impegnarsi sui libri. I suoi alunni nelle testimonianze raccolte dalla famiglia in occasione del centenario dalla nascita lo ricordano come un bravo insegnante, severo al punto giusto ma anche capace di giocare con loro alla guerra francese durante l’intervallo. Un suo studente Mariano Strangio racconta di quando insieme ad altri tre compagni non rientrarono alle lezioni e andarono invece all’osteria per assaggiare vino o birra. Quando tornarono, don Ciccio Gangemi sapeva gia’ tutto e chiese loro perche’ lo avevano fatto. I giovani risposero che volevano provare e uno solo disse che aveva seguito i suoi compagni. Fu l’unico a essere sgridato perche’ ”ognuno di noi e’ tenuto a seguire le proprie idee senza attribuire agli altri la responsabilita’ delle proprie azioni”. Il prete-professore istitui’ anche l’oratorio e per gli adulti creo’ l’Unione uomini cattolici. Sottrasse cosi’ gli uomini all’osteria almeno una sera a settimana e li fece partecipare come attori protagonisti alle manifestazioni teatrali organizzate nello scenario arrangiato dal barbiere del paese. La gente del paesino di Santa Cristina d’Aspromonte adorava andare a messa quando era celebrata da don Ciccio Gangemi, la domenica alle 9 all’oratorio. Usava parole semplici e la messa durava trenta minuti perche’ aveva grande rispetto per i lavoratori. Le donne lasciavano addirittura il sugo sul fuoco. La folla di fedeli che lo seguiva fece ingelosire il protopapa, che diceva messa alle 11. Arrivo’ persino al punto da dire che la messa di don Ciccio Gangemi non aveva valore. Quando il prete-professore era ormai in punto di morte chiese tuttavia di essere confessato proprio da lui, in segno di umilta’. Quando usci’, si senti’ sereno e il protopapa diede l’annuncio della sua morte in chiesa nel 1981 definendolo ”anima pura”. Don Ciccio Gangemi non e’ mai stato un personaggio scontato. Per lui la festa di tutti i Santi non era dedicata solo ai personaggi contornati dall’aureola ma a tutti i lavoratori e contadini della sua terra, veri santi per le loro fatiche. Emblematico e’ l’episodio in cui un tale avvocato Zuccala’ era andato a Santa Cristina per un comizio elettorale. Nel suo discorso evocava i figli dei nobili morti in guerra. Don Ciccio Gangemi usci’ stizzito urlando che erano grandi anime anche i figli dei contadini morti in guerra e si dichiaro’ ”orgoglioso che nelle mie vene scorre sangue di zappatore”. Quell’anno le elezioni furono vinte dalla lista ”della croce”. Per ricordare la figura di don Ciccio Gangemi, sabato 11 agosto a Santa Cristina d’Aspromonte si terra’ una serata all’interno della quale Spazio Teatro con gli attori Gaetano Tramontana, Valentina De Grazia e Anna Calarco leggeranno brani tratti dal libro-diario ”Il segno di Melchisedec” pubblicato pochissimi anni prima della sua morte avvenuta nel 1981. Una testimonianza straordinaria dell’anima inquieta di don Ciccio Gangemi, che ha rinunciato alla tranquillita’ economica di una parrocchia per inseguire il sogno dell’insegnamento (che ha continuato dagli anni ’50 agli anni ’70 in diversi istituti scolastici). Le sue idee sulla vicinanza dei preti al popolo hanno anticipato di molti anni il Concilio Vaticano II. Quando Giovanni XIII venne eletto Papa, cosi’ don Ciccio Gangemi scriveva nel suo diario: ”Papa Pacelli era l’immagine di Dio dei teologi; Papa Giovanni e’ l’immagine di cio’ che vogliamo e speriamo di essere, dell’ideale cristiano incarnato nella dimensione dell’uomo. Del Gesu’ dei Vangeli. Nei suoi gesti, nelle parole, nel sorriso sorprendiamo un soprannaturale a portata di mano. Anche il suo corpo tozzo ci da’ coraggio”. Don Ciccio non condivideva tutto della Chiesa. Fece scandalo quando appoggio’ il divorzio. Scrisse un intervento su un quotidiano di rilievo nazionale il cui senso era ”Il cristianesimo e’ religione di liberta’. Perche’ votare una legge che impedisce il divorzio a chi non ha la nostra fede? Nessuno impone il divorzio a chi crede nell’indissolubilita’ del matrimonio”. Il prete-sacerdote don Ciccio Gangemi nel suo scritto ”Il segno di Melchisedec” pubblicato alla fine degli anni ’70 parla del celibato dei sacerdoti prevedendo un cambiamento ”forse anche nella struttura secolare del ministero sacerdotale cattolico” nel successivo ventennio a causa dello svuotamento dei seminari. Fa tre ipotesi. La prima: ”Restando immutata l’organizzazione e la situazione disciplinare e sociale del clero, verra’ concesso agli aspiranti al sacerdozio di sposare. Press’a poco un adeguamento alla disciplina per il clero orientale”. La seconda: ”salvo pochi casi di sacerdoti (o vescovi) a tempo pieno e socialmente integrati, come il clero di oggi, nella struttura ecclesiastica presiederanno alla liturgia e amministreranno i sacramenti e la parola veri e propri laici, teologicamente istruiti per quel compito ma economicamente e socialmente fuori dalla casta sacerdotale”. La terza: ”restera’ ferma la disciplina canonica attuale ma sara’ accettata un’evoluzione della dottrina morale tradizionale in materia sessuale”. In particolare il riferimento e’ a una ”regolarizzazione morale della sessualita’ esplicata in un rapporto serio e costante anche fuori del matrimonio, come valore a se stante, mentre solo la sessualita’ in funzione della procreazione sarebbe eticamente legata all’istituto della famiglia”.


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