Messina, la Prof. Montesano sulla crisi ucraina: “con le sanzioni alla Russia stiamo distruggendo la nostra economia”

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Le ragioni del conflitto, le sanzioni alla Russia, i nuovi equilibri geopolitici e finanziari: l’analisi sulla guerra in Ucraina della professoressa Marina Montesano, Professoressa presso il Dipartimento di Civiltà antiche e moderne all’Università di Messina

Se la guerra in Ucraina ha indubbiamente cementato la tenuta politica del fronte occidentale e dell’Unione europea, lo stesso non si può dire delle risposte da approntare per la crisi economica e commerciale. Con un nuovo regolamento del Consiglio si sta continuando ad innalzare il livello delle sanzioni nei confronti della Russa, inasprendo e diversificando le misure oggettive e soggettive, che penalizzano la Nazione di Vladimir Putin, ma di conseguenza anche i singoli Stati europei strettamente legati da diversi rapporti commerciali. Oltre ad aver negato alla Russia il trattamento di “nazione più favorita” per l’accesso delle merci al mercato unionale, l’UE ha adottato una serie di restrizioni sia commerciali che finanziarie. Di questo aspetto, e di molti altri legati al conflitto esploso in terra ucraina, ne ha parlato la Professoressa Marina Montesano, docente presso il Dipartimento di Civiltà antiche e moderne all’Università di Messina. Di seguito il suo scritto riportato integralmente:

“Le foto dell’incontro svoltosi a Versailles il 10 marzo mostrano i leader europei, a tratti compunti, a tratti sorridenti, mentre discutono la situazione russo-ucraina. Dichiarano: “Lodiamo il popolo dell’Ucraina per il suo coraggio nel difendere il suo paese e i nostri valori condivisi di libertà e democrazia”; che sia lodevole il coraggio non c’è dubbio, che questo abbia qualcosa a che vedere con la democrazia è opinabile. L’Ucraina era, prima della guerra scatenata dalla Russia, un paese nel quale i diritti dei cittadini di origine e lingua russa erano conculcati, nelle cui province orientali si sono compiuti massacri impuniti contro di loro, proibendo anche ai partiti autonomisti filo-russi di presentarsi alle elezioni; è un dato da tenere a mente visto che, come prova di mancanza di democrazia in Russia, si cita spesso la scelta a monte dei partiti che possono presentarsi alle elezioni; ecco, la stessa cosa si faceva in Ucraina. Un paese scosso peraltro dalla corruzione e dalla povertà, al punto da arrivare ultimo nelle graduatorie europee, ben dietro Kosovo e Bosnia, per intenderci.

Certo, non è per questo che Putin ha scatenato la guerra. Le ragioni del conflitto sono già state discusse e non è il caso di tornarci sopra. Invece, le ragioni della dichiarazione di Versailles, questa rapida promozione dell’Ucraina nel club dei “liberi e democratici”, risiedono negli esiti dell’incontro: più armi agli ucraini e più sanzioni alla Russia; ossia quanto di più efficace si possa mettere in campo per allontanare la pace e per accedere a trattative reali che possano dare a Putin la possibilità di mettere fine all’aggressione: la fine delle sanzioni (messe in campo, è il caso di ricordarlo, già da prima) e la creazione di zone demilitarizzate fra NATO e Russia. Entrambe misure che non convengono al convitato di pietra di Versailles, ossia agli Stati Uniti, che ci piaccia o meno i padroni della NATO, ostili all’idea di una Russia forte.

Ma a noi europei, queste sanzioni, convengono? Nei decenni dopo la caduta del muro di Berlino, tanti passi avanti erano stati fatti da entrambe le parti per una Russia maggiormente integrata nel “sistema-Europa”, con la creazione soprattutto di canali commerciali importanti, a cominciare dalle risorse energetiche che la Russia possiede e che a noi servono. La crisi nella quale siamo piombati tutti, mostra che le sanzioni sono un’arma a doppio taglio e, se il rublo crolla, anche la nostra economia non pare andare tanto meglio. Certamente, le compagnie che si occupano del trasporto e della commercializzazione, in certi paesi anche dell’estrazione, stanno realizzando in questo momento guadagni stratosferici, protette dai governi “liberi e democratici”, che bloccano i beni degli “oligarchi” (quando sono russi si chiamano così, da noi sono “imprenditori”), ma sembrano incapaci di far pagare tasse alte su guadagni alti – come d’altra parte ormai accade ovunque con le multinazionali di qualunque tipo; altrimenti non avremmo un mondo nel quale pochi ricchi diventano sempre più tali a scapito di tutti gli altri.

E apriamo anche una parentesi sui sequestri dei beni degli oligarchi, che davvero sul piano giuridico sono un’enormità: con quale diritto si espropriano beni di privati è un fatto che bisognerebbe precisare, anche per i precedenti che crea; e comunque, ammettiamo pure che sia legale: in tv vediamo passare yacht ancorati in vari porti italiani, con annunci trionfanti di avvenuto sequestro. Tuttavia, siccome non sono beni che rendono (altrimenti lo Stato potrebbe almeno usare il ricavato), il loro mantenimento (affitto del posto, un capitano di bordo, praticamente tutto quello che serve a non far deprezzare il bene) lo paga lo Stato italiano, cioè noi. È soltanto una piccola goccia in quello che ci attende. L’approvvigionamento di grano ucraino viene meno, i prezzi degli alimenti salgono, e Mario Draghi si è già pronunciato: bisognerà ampliare il mercato agroalimentare attingendo a paesi come il Canada e (colpo di scena!) gli Stati Uniti, i cui prodotti finora l’Unione Europea aveva tenuto a distanza, perché pieni di OGM e, nel caso dell’allevamento, di antibiotici. Sono tutti beni che, se si va in questa direzione, non soltanto riempiranno le nostre tavole di merda (scusate, però così è), ma si abbatteranno con i loro prezzi bassi a fare concorrenza sleale alla nostra industria agroalimentare, già malmessa e di nicchia.

Poi c’è il capitolo più importante: le risorse energetiche. L’Europa libera e democratica si guarda intorno per sostituire la cattiva Russia, e dunque si rivolge ai paesi arabi del Golfo, quelli che hanno finanziato lo Stato islamico; che, come l’Arabia Saudita, bombardano da anni ormai lo Yemen nella guerra contro i ribelli filoiraniani, mietendo vittime e riducendo alla fame la popolazione: ci sono bambini e profughi anche lì, vorrei ricordare. L’Arabia Saudita che rapisce un giornalista e lo fa a pezzi all’interno di un’ambasciata; l’Arabia Saudita che l’altro ieri ha eseguito la condanna a morte di 81 prigionieri in un solo giorno. Certo, non possiamo scendere a patti con il dittatore Putin, scegliamoci altri amici più degni di noi.

Infatti, Di Maio va a trattare con l’Angola e la Repubblica del Congo, che sono ricchi di gas e potrebbero esportarlo. Se accetteranno, dal momento che negli ultimi anni i loro rapporti con la Russia sono migliorati molto. Senza contare che l’Angola ha contratto con la Cina un debito di 42 miliardi di dollari che ripaga con l’invio di petrolio. Ne avrà anche per noi? E quanto costerà, visto che il gasdotto che unisce Mediterraneo e Algeria meridionale finisce appunto lì, al confine algerino, mentre Repubblica del Congo e Angola si trovano in Africa centro-meridionale. Insomma, ce ne vuole per arrivare fino alle nostre porte. Sappiamo già che il gas algerino non basterà, anche perché non rifornisce solo noi, ma anche la Spagna; e, se il gas russo non arriva, altri paesi lo vorranno. Poi c’è il gas di scisto americano, tragico dal punto di vista ecologico (si ottiene dalla frattura ottenuta con esplosioni della crosta terrestre), carissimo, che evidentemente gli statunitensi hanno tutto l’interesse a venderci, sostituendosi alla Russia. Gli Stati Uniti che maggiormente hanno spinto per inasprire il conflitto con Putin hanno poco bisogno delle materie prime russe e nemmeno vedranno profughi arrivare sul loro territorio: li avrà tutti l’Europa.

Quindi, in sintesi, se riusciremo a individuare altre fonti energetiche, non aspettiamoci che arrivino tra un giorno o tra un mese: qui si tratta di anni, durante i quali le spese le pagheremo noi. Certo, come dice qualche commentatore dallo stipendio estremamente alto, vale la pena pagare di più le risorse energetiche per aiutare l’Ucraina; ma, oltre ad aiutarla di fatto ben poco, perché prolungare la guerra non aiuta nessuno, qui rischiamo di restare noi con le sanzioni che ci andiamo autoinfliggendo. Il che non significa pagare la benzina qualche centesimo in più nella gita domenicale: significa imprese che chiudono, autotrasporto in ginocchio, bollette del gas già raddoppiate. Nel frattempo, la Russia subisce un duro colpo, certo, ma alle porte asiatiche ha mercati di tre miliardi persone che vivono in Stati che non hanno votato le sanzioni, così come la maggior parte dell’Africa e dell’America Latina, e che con la Russia continuano a commerciare, e che compreranno il suo gas, magari a buon prezzo.

Svegliamoci dal sogno coloniale di avere il dominio morale e materiale del mondo. Scendiamo in piazza per la pace, ma non per sostenere chi pubblica videomontaggi (che peraltro dubito siano realizzati in Ucraina) delle capitali europee sotto le bombe: questo tipo di ricatto la dice lunga sulle voglie sottese al conflitto, e non da una parte sola. Davvero siamo pronti a pagare distruggendo la nostra economia? Davvero siamo pronti a un conflitto su larga scala? L’Europa si è già suicidata due volte nel corso del Novecento, e a guadagnarci sono stati gli USA, unico paese che ha bombardato senza essere a sua volta distrutto e che non è mai stato teatro di guerre (se non interne). Vogliamo cominciare il terzo millennio nello stesso modo?”.

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