Il Recovery Fund riapre l’ipotesi del ponte sullo Stretto: il tunnel sommerso resta invece un’utopia incerta nei modi, tempi e costi economici
Un’idea evergreen, che torna sempre di moda accompagnata da grande entusiasmo, poi rallenta lentamente fino a fermarsi e scivolare nel dimenticatoio. Anno dopo anno, governo dopo governo. Il ponte sullo Stretto è l’eterna promessa della politica italiana, tornata nuovamente in auge anche con il governo Draghi. L’occasione di poter utilizzare i fondi del Recovery Fund è quantomai ghiotta, al punto che la Commissione tecnica del Mit sta lavorando su un documento di 200 pagine che dovrebbero ribadire l’utilità dell’infrastruttura per il Paese.
Nelle ultime settimane, parallelamente al progetto del ponte, si è parlato anche di un tunnel flottante da costruire sotto le acque dello Stretto di Sicilia. Una struttura senza dubbio avveniristica, inesistente al mondo per tale lunghezza. L’unico riferimento potrebbe essere il tunnel flottante che la Norvegia sta progettando per coprire la distanza marina di un fiordo. In questo caso, l’opera è più che altro un’utopia difficile da realizzare per tempi, modi e costi. L’opera è tutt’ora in fase di studio: va valutato con attenzione non soltanto l’ingente aspetto economico, ma anche la reale possibilità di realizzare la struttura nello Stretto, dove si incontrano il Mar Tirreno e il Mar Ionio e dove le correnti sottomarine sono molto forti. Inoltre, mai come in questo caso, il tempo è denaro: costruire il tunnel vorrebbe dire rimandare la realizzazione dell’opera per chissà ancora quanti anni, ammesso che alla fine degli studi, si ritenga possibile realizzarlo. Calabria e Sicilia aspettano dagli anni ’90, il Recovery Fund è un’occasione da non perdere adesso.