Dissesto idrogeologico: fondi congelati. Il gioco dell’oca delle istituzioni e la piaga della burocrazia

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Smottamenti, emergenze idriche, ponti che crollano: così l’Italia ignora la propria fragilità infrastrutturale. Ringraziando una burocrazia che si è incancrenita

Il servizio pubblicato stamane sulle colonne della Stampa di Torino, e firmato da Giuseppe Salvaggiulo, mostra la distanza siderale che intercorre fra le richieste pubbliche avanzate dalle istituzioni locali e la capacità politica di sfruttare le risorse a disposizione. L’emergenza idrica a Messina sta mostrando, se mai ve ne fosse bisogno, la fragilità del territorio innanzi alla minaccia del dissesto idrogeologico e da più parti si è sollevato un polverone contro il Governo nazionale, chiedendo investimenti reali per mettere in sicurezza i costoni pericolanti. Del resto la cronaca quotidiana offre spunti in tal senso: da Barcellona a Scaletta Zanclea, da Milazzo a Capo Alì, gli smottamenti che provano le resistenze della comunità neppure si contano. Guardando all’erario dello Stato, però, si scopre che i finanziamenti ci sono e non sono neanche di portata ridotta: si tratta di 650 milioni di euro investiti in opere cantierabili che sarebbero disponibili dall’oggi al domani, se soltanto la burocrazia non ponesse veti.

Scrive, in tal senso, il quotidiano piemontese: “Quattro mesi e mezzo per scrivere e vistare la delibera del Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica. Cinque passaggi alla Corte dei Conti. Diciassette diversi uffici pubblici coinvolti. Tre ministeri. Carte che rimbalzano per decine di volte tra gli enti interessati. Risultato: quattrini fermi per un anno“. E’ questo il bilancio dello stillicidio in atto con cui vengono di fatto osteggiate le opere infrastrutturali, quelle stesse opere che consentirebbero ai territori di non vivere in una costante emergenza. E’ il Leviatano pubblico, gestito da zelanti professionisti della carta bollata, a creare evidenti scompensi e non è bastato, nei vent’anni passati, istituire Ministeri della Semplificazione o varare riforme per snellire la legislazione vigente: tutto è rimasto identico, una situazione perennemente stazionaria da cui sembra impossibile uscire.

C’è anche una doppia ricaduta economica dietro questo perverso meccanismo. Innanzitutto le imprese locali – alle prese con assicurazioni contro esondazioni, smottamenti e calamità – sono scoraggiate dall’investire sui territori martoriati, deprimendo ulteriormente le speranze di crescita economica di realtà strutturalmente fragili. In secondo luogo, poi, l’assenza d’investimenti fa sì che lo Stato non metta in circolo liquidità nel settore dell’edilizia, bloccando di fatto la crescita di un settore da sempre strategico nell’economia nazionale. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: lo scaricabarile fra i vari livelli dello Stato per additare un colpevole innanzi all’opinione pubblica è la manifestazione puerile più eclatante. Colpevole che magari sarà anche individuato, ma che vanta una difesa di tutto rispetto, incentrata su una sola argomentazione: il sistema è talmente folle che per smuovere le acque servono i titani. E si ritorna ad accusare il Governo come in un gigantesco gioco dell’oca.

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