Riduzione in schiavitù e persecuzione: l’inferno privato di due donne reggine. I Carabinieri arrestano l’aguzzino

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“Un intervento letteralmente provvidenziale e liberatore, che ha infuso nella donna il coraggio di riferire i soprusi reiteratamente subiti”; così il Giudice per le indagini preliminari di Reggio Calabria, Massimo Minniti , ha definito l’operazione dell’Arma dei Carabinieri che ha permesso di sottoporre a misura restrittiva in carcere, Massimo Idone, classe ’75, con le gravissime accuse di riduzione in schiavitù e atti persecutori.

Vittime due donne residenti nella periferia nord della città, alle quali l’Idone, dopo averle soggiocate psicologicamente, sottraeva la pensione costringendole ad una vita di stenti.

Il Maggiore Pantaleone Grimaldi, in conferenza stampa, ha spiegato che le indagini sono partite nell’ ottobre 2013, quando, grazie alla “profonda conoscenza del territorio e delle sue problematiche”, era giunta al Comando la notizia di due donne che vivevamo in schiavitù a causa di un uomo che, abilmente, era riuscito a stringere una frequentazione con le vittime che si sono, fidandosi, inconsapevolmente consegnate nelle mani dell’aguzzino.

I Carabinieri hanno verificato la grave situazione di disagio, seguendo una delle vittime all’uscita dell’ufficio postale nel quale veniva ritirata la pensione di reversibilità che percepiva,  cogliendo l’uomo in flagranza nel farsi consegnare in luogo appartato l’intera somma ritirata.

L’uomo dal febbraio scorso, era riuscito ad insinuarsi nella vita delle vittime, rimaste sole e senza figure di riferimento, convincendole di essere intercettate dalle forze dell’ordine tramite delle microspie posizionate all’interno della loro abitazione. Le intercettazioni, nelle farneticazioni criminali di Idone, venivano azionate con l’accensione del televisore, che per questo motivo non è più stato utilizzato dalle donne, restando in tal modo ulteriormente isolate.

Le donne erano state convinte dell’esistenza di un procedimento penale a loro carico ed i soldi della pensione, circa 1000 euro, venivano incassati da Massimo Idone per “pagare le relative spese legali”; l’uomo finiva così per arricchirsi della pensione che sottraeva nella sua interezza, lasciando, senza alcuno scrupolo, le donne con le dispense vuote.

I Carabinieri hanno trovato al loro ingresso nell’abitazione delle vittime, due donne visibilmente denutrite che vivevano con soli: tre pacchi di pasta, una bottiglia di olio e mezza cipolla.

Nel progetto di riduzione in schiavitù, Idone avrebbe proibito alle donne di sottoporsi alle cure mediche di cui necessitavano (una di loro è diabetica, all’altra servono cure psicologiche) sempre con lo scopo di isolarle dal resto del mondo e tenerle in pugno.

Le donne erano state da subito sollecitate dai Carabinieri a sporgere denuncia, ma la succubanza psicologica nella quale versavano era tale, che hanno inizialmente rifiutato di collaborare. Dall’ottobre 2013 fino alla giornata di ieri, data dell’arresto, le investigazioni  dell’Arma che hanno richiesto l’intervento di specialisti psicologi, hanno sempre più portato le donne a fare affidamento nelle forze dell’ordine e, soprattutto, a prendere coscienza del raggiro.

Massimo Idone, idraulico di professione, aveva già a suo carico piccoli precedenti penali. Il suo arresto ha dato la possibilità alle due donne di ricominciare a condurre una vita serena, per la quale sarà, comunque, necessario l’intervento di professionisti specializzati nell’assistenza medica e psicologica.

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