Per non dimenticare … Maresciallo Capo Pasquale AZZOLINA

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Maresciallo Capo Pasquale AZZOLINA

Comandante della Stazione Carabinieri di Santa Eufemia d’Aspromonte (RC)

Laterina (AR) 24/12/1951 – Santa Eufemia d’Aspromonte (RC) 17/06/1996

Medaglia di Bronzo al Valor Militare

di Cosimo Sframeli

     Il 17 giugno 1996, alle ore 23.00 circa, il Vicebrigadiere Salvatore COLTELLLO riceveva, sull’utenza della caserma, una telefonata anonima che segnalava, in località “Ponte Crasta”, la presenza di individui sospetti nei pressi di una moto Ape. Il Sovrintendente avvisava subito il Comandante della Stazione, Maresciallo Capo Pasquale AZZOLINA, ed entrambi, in uniforme e con l’Uno di servizio, si recavano nella località indicata. Lì notavano, nei pressi di una moto Ape, due giovani, conosciuti da loro come i fratelli D’AMATO, cui uno minorenne di sedici anni, intenti a smontare e trafugare pezzi del motore dal predetto veicolo in quel luogo accantonato a seguito d’incidente stradale avvenuto il giorno prima. Alla vista dei Carabinieri i due fratelli nascondevano alcuni attrezzi all’interno della propria autovettura parcheggiata affianco. Il Maresciallo AZZOLINA procedeva al controllo dei due giovani e, constatando che dentro la loro autovettura vi erano vari  pezzi di motore, decideva di accompagnarli in caserma. Li invitava a salire sul mezzo militare, condotto dal Vicebrigadiere COLTELLO, mentre egli stesso si poneva alla guida della Ritmo, l’autovettura dei due ladri. L’invito fu accolto senza cenno di opposizione dal fratello minorenne. Di contro, Rocco D’AMATO, fulmineamente, estraeva dalla cintola una pistola Beretta calibro 7.65, illegalmente detenuta e portata, ed esplodeva, da distanza ravvicinata, alcuni colpi di pistola all’indirizzo del Comandante. AZZOLINA, benché colpito in varie parti del colpo, estraeva, velocemente, la propria pistola d’ordinanza ma, prima di poter far fuoco, era attinto da un altro proiettile che lo faceva stramazzare a terra, esamine. Il Vicebrigadiere COLTELLO, a pochi metri, a sua volta, era colpito da un colpo di pistola esploso dalla pistola del D’AMATO. L’omicida, avendo raccolto da terra la pistola d’ordinanza del Maresciallo, si dava a precipitosa fuga, alla guida della sua Ritmo, insieme al fratello minore. Il Vicebrigadiere COLTELLO, nonostante ferito, si avvicinò al suo Comandante per cercare di poter dare aiuto. Si accorgeva, intanto, che i due, dopo aver percorso circa 200 metri, scendevano dall’autovettura e ritornavano indietro, verso di lui, con il chiaro e preciso intento di ucciderlo. Erano messi in fuga definitivamente per il ripetuto uso della pistola d’ordinanza del Vicebrigadiere che sparava contro di loro. A quel punto, COLTELLO non poté che constatare la morte del suo Comandante. Si recava in caserma da dove, ai limiti della resistenza, riusciva a lanciare l’allarme. In seguito, i colleghi lo accompagnarono all’Ospedale di Scilla, dove fu sottoposto a intervento chirurgico.

    Una notte e un giorno per pensare. Poi, la resa. “Mio figlio vi aspetta”. Al telefono una voce stanca. Era quello che i colleghi di Pasquale AZZOLINA attendevano. Sono le 17:00 di martedì.  Dopo sedici ore la caccia all’uomo si era conclusa. Rocco D’ Amato, venti anni appena, si consegnava nelle mani del Colonnello Gennaro NIGLIO. E confessava: “Ho sparato al Maresciallo istintivamente, ho perso il controllo di me stesso”. Contestualmente, erano recuperate le armi, una pistola calibro 7.65 con matricola abrasa, usata per il delitto, e una pistola calibro 9 parabellum, in dotazione al Maresciallo e per mezzo della quale aveva tentato una coraggiosa, quanto vana, reazione di fuoco contro il suo omicida.

     Un delitto assurdo che lasciava orfane tre ragazze, Nadia di diciotto anni, Angela di quindici, Vanessa di sei, che si stringevano attorno alla loro mamma, Marianna CANDELA, una donna minuta senza più una lacrima da versare per il marito divenuto orgoglio di un paese, e che lei aveva sempre amato e sostenuto. Un atto sanguinario senza un movente plausibile e che solo per miracolo non fece un’altra vittima, il Vicebrigadiere Salvatore COLTELLO (trentaquattro anni), padre di Sonia (otto anni) e di Federica (due anni).

     Il Maresciallo AZZOLINA conosceva bene quel Rocco avviatosi su una brutta china. Più volte lo aveva ripreso, invitandolo a cambiar vita. “Cercati un lavoro”, gli diceva. E lui niente. Gli piaceva vedersi additato come balordo. Lavorava su commissione. Di notte. Furti di autoradio, motori d’auto che rivendeva. Anche lunedì sera andò così. “Rocco”, gli disse il Maresciallo, “andiamo in caserma”. I Carabinieri non si aspettavano nessuna reazione. Solo qualche formalità e avrebbero rispedito a casa i due ragazzi. Invece, no. Fu un attimo. Il giovane estrasse l’arma dalla cintola e sparò contro AZZOLINA colpendolo al fianco e al torace. La morte fu immediata. Poi D’AMATO puntò la pistola, alle spalle, contro il Vicebrigadiere e fece fuoco.  Non arrivò a finirlo e fuggì verso i crinali aspromontani. Con le poche forze rimastegli il Vicebrigadiere COLTELLO riuscì a giungere in caserma ed avvisare i colleghi di Sinopoli, il paese vicino, ai quali raccontò i particolari della sparatoria e fornito i nomi degli assassini. Poi svenne. La casa dei D’AMATO, in un baleno, fu accerchiata da centinaia di militari. Dentro, Alessandro era ancora in piedi. Si mostrò stupito quando i Carabinieri gli strinsero le manette ai polsi. Poi, cedette e confessò la sua partecipazione alla sparatoria, scaricando sul fratello la responsabilità dell’omicidio. Nella mattinata, il Comandante Generale dell’Arma, Luigi FEDERICI, giunse a Sant’Eufemia per esprimere il cordoglio dei Carabinieri: “E’ una ferita profonda nel cuore dell’Arma”, disse il Generale, “e credo di tutto lo Stato”. Anche il Capo dello Stato rese omaggio alla salma del Sottufficiale.

    Le hanno detto: “Tuo padre è stato ucciso mentre faceva il suo dovere”. Ma Vanessa, con i suoi sei anni e gli occhi smarriti, si aggrappava alla madre e piangeva solo perché il suo papà non lo avrebbe rivisto mai più. Gelo e divise riempivano le stanze di quella casa, dell’alloggio di servizio, proprio accanto alla caserma, dove la famiglia del Maresciallo Pasquale AZZOLINA, viveva da tempo. Morì per mano di un balordo. Da dodici anni rappresentava la legge in terra di mafia e aveva avuto a che fare con esponenti di spicco della ‘ndrangheta. Né agguato, né imboscata, né esecuzione. “Li conosceva, li conosceva bene; due fratelli, gentarella, per questo ha allentato le difese”, diceva il Colonnello Gennaro NIGLIO, Comandante Provinciale dell’Arma. Ma il balordo, che aveva venti anni, che viveva di furtarelli e di piccolo spaccio, che rubava le autoradio e quando poteva un’automobile per poi smontarla e rivenderla pezzo per pezzo, che l’altra notte fu sorpreso con il fratello sedicenne proprio mentre stavano “cannibalizzando” una moto Ape incidentata e lasciata su una stradina dismessa all’inizio del paese, uccise il Maresciallo e ferì il Vicebrigadiere. L’incubo della trappola di mafia durò poco. Ma la tragedia rimase, tutta intera. Per le famiglie, per l’Arma, per il paese, 4500 abitanti, che la mattina ebbe una sveglia glaciale. Perché quel Maresciallo, dopo tanti anni di servizio a Sant’Eufemia, era uno di loro. Le figlie, come la moglie, vivevano e condividevano la vita di quel microcosmo. L’Amministrazione comunale preparò e affisse un manifesto che rendeva bene i sentimenti della gente: “Una vicenda terribile e assurda… un atto di barbarie scaturito dall’emarginazione e dall’ignoranza ha stroncato la vita di un uomo buono nell’esercizio del suo dovere… al Maresciallo AZZOLINA diciamo grazie… ha dato la vita per la nostra città che non lo dimenticherà”. E in Municipio fu allestita la camera ardente, da dove partirono i funerali che si svolsero nella Chiesa Madre del paese, in piazza Vittorio Emanuele. Trama e attori di questa tragedia vera furono tutti noti.

     Il Maresciallo Capo Pasquale AZZOLINA fu decorato di  Medaglia di Bronzo al Valor Militare, alla Memoria, con la seguente motivazione: “Comandante di Stazione distaccata in territorio caratterizzato da alto indice di criminalità, veniva fatto segno – unitamente a militare dipendente ad improvvisa e violenta azione di fuoco da parte di due malviventi sorpresi in flagranza di furto. Benché colpito in più parti del corpo, con elevato coraggio e grande determinazione, tentava di reagire con l’arma in dotazione ma, colpito ancora una volta in parti vitali, si accasciava esamine al suolo. Fulgido esempio di alto senso del dovere ed elevate virtù militari, spinte fino all’estremo sacrificio. S. Eufemia d’Aspromonte (RC), 17 giugno 1996”.

                                                                                                          Cosimo Sframeli

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