Sin dall’età di 15 anni egli prova a guadagnarsi da vivere disegnando e nel 1830 riceve il suo primo incarico professionale per la realizzazione di illustrazioni zoologiche. John Edward Grey del British Museum lo assolda per raffigurare i pappagalli dello Zoo di Regent’s Park. Lear è il primo illustratore zoologico che realizza i suoi disegni dal vero, piuttosto che da esemplari impagliati, e lo fa con una maestria ancor oggi giudicata insuperabile. Ciò subito gli procura un ulteriore incarico presso la dimora di Lord Edward Smith-Stanley, Conte di Derby e appassionato naturalista, che diverrà presto suo mentore e mecenate. È attraverso un viaggio in Irlanda che Lear scopre la sua vera vocazione artistica: affascinato da luoghi come Glendalough e Wicklow, decide di dedicarsi alla pittura del paesaggio, intraprendendo da quel momento una vita instancabile di artista e viaggiatore. Vita quasi nomade, che lo porterà a risiedere in molte città, visitando e immortalando, attraverso escursioni talvolta avventurose, luoghi inconsueti di Italia, Grecia, Albania, Egitto, Palestina, India, solo per citarne alcuni.
Nel 1837, ricercandovi anche un clima più favorevole per la sua cagionevole salute, si stabilisce a Roma, che sarà per qualche anno la base operativa per diversi viaggi. Nel 1846, la pubblicazione in Inghilterra di un volume contenente i diari di viaggio e le illustrazioni relative alla sua escursione negli Abruzzi gli guadagnano la stima della Regina Vittoria, che lo vuole come proprio personale maestro di pittura. In Calabria Lear arriva nel 1847, sul nascere dei moti rivoluzionari, visitandone solo la parte meridionale in un modo certamente non convenzionale.
Lear attraversa luoghi sino ad allora poco frequentati dai viaggiatori e poco o mai rappresentati da artisti; si sposta prevalentemente a piedi, accompagnato da John Proby e da una guida locale. L’artista inglese disegna rigorosamente dal vero, con schizzi rapidi a matita e acquerello da cui ricaverà le litografie per la pubblicazione di “Journal of a Landscape painter in Southern Calabria”, un’opera spesso citata per gli aspetti letterari e la piacevolezza della parte narrativa, ma ingiustamente trascurata nella sua parte principale, ovvero le illustrazioni. Il Prof. Di Fazio ha sottolineato che “Lear perseguiva dichiaratamente una Topografia Poetica: l’osservazione e la rappresentazione del paesaggio hanno precisione e rigore scientifico, ma sono per l’autore un modo di vivere e approfondire il suo rapporto con la natura, cos’ come uno strumento per la comprensione e l’accettazione di sé. Camminare, viaggiare e dipingere sono parte di un’unica ricerca: la ricerca della definitiva dimora”. Il metodo, la capacità di lavoro e la produttività di Lear sono impressionanti: in una vita sempre in viaggio e costellata da mille difficoltà egli produce oltre 300 dipinti a olio e un numero di disegni e acquerelli stimabile intorno ai 16.000. Il prof Di Fazio ha inoltre ricordato che “nonostante Lear si definisse un Landscape Painter, la sua notorietà mondiale è legata soprattutto alle sue poesie nonsense, ai cosiddetti limericks e al suo straripante umorismo, grafico e verbale. Lungo tutta la sua vita, Lear affianca all’osservazione carica di stupore verso la natura e i paesaggi reali, la creazione di un paesaggio parallelo, una narrazione sottotraccia, fatta di una botanica fantastica, luoghi surreali, personaggi bizzari e situazioni strampalate di cui generazioni diverse, adulti e bambini, hanno goduto in tutto il mondo”.
Durante il seminario, nell’illustrare le rappresentazione del paesaggio siciliano realizzate da Lear, anche esse nel 1847, il Prof. Di Fazio