Autonomia differenziata: danni mortali per Calabria e Sicilia

Non esiste oggi una materia che danneggi la vita sociale e civile del Mezzogiorno quanto l'Autonomia differenziata

StrettoWeb

Molti meridionali negli ultimi tempi parlano e talvolta scrivono allarmati di autonomia differenziata, di cui conoscono ormai i passaggi più pericolosi per il proprio territorio. Peccato che la maggiore conoscenza di questo tema oltremodo divisivo coincida con un’accelerazione inarrestabile del suo iter istituzionale, pretesa a tutti i costi dalla Lega. Non esiste oggi una materia che danneggi la vita sociale e civile del Mezzogiorno quanto questa. Bisogna tenere conto che ormai il Sud s’avvia a diventare una landa deserta tra mancanza di lavoro, spopolamento, criminalità, disastro sanitario e crescita esponenziale delle disuguaglianze tra Nord e Sud. A tale proposito consiglierei a Zaia e a Calderoli la lettura del quarto numero del 1922 della rivista del Mulino Intitolata “L’Italia dei divari” in cui si mostrano, appunto – non da Caltanissetta ma dalla dotta Bologna – certi dati sul Sud che danno un senso di prostrazione. Scrivevo poc’anzi del danno che la Lega s’avvia ad infliggere al Mezzogiorno. Eppure sotto tanti aspetti dovrebbe apparire molto facile neutralizzarlo, visto che appare di tutta evidenza che l’autonomia differenziata non penalizza un piccolo borgo, ma la vita di un numero troppo alto di italiani: venti milioni. Il fatto è che l’azione politica purtroppo in certe occasioni non solo appare illogica ma produce anche effetti bizzarri. Cominciamo dal versante illogico. La Lega, un partito secessionista, che si è mosso fin dalla prima apparizione sulla scena italiana al limite della Costituzione, nelle ultime elezioni ha guadagnato solo l’otto per cento.

Non ha dunque una tale forza da imporre la sua volontà al resto della coalizione di maggioranza. L’elemento bizzarro consiste invece nella circostanza che tale provvedimento istituzionale, per gli effetti devastanti che provocherebbe all’unità del Paese, è avversato, tranne che dalla Lega, da tutte le forze politiche presenti in Parlamento. A cominciare ovviamente dall’opposizione per finire alla parte maggioritaria della coalizione di governo. Mi domando infatti quale interesse possa avere il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, a varare un provvedimento destinato ad accentuare in forma irreversibile la spaccatura istituzionale dell’Italia. Non le conviene neanche elettoralmente perché il suo tradizionale bacino di consenso è nel Sud. Non conviene ovviamente neanche a Berlusconi. Non fosse altro che per il fatto che la sua forza politica residua sostanzialmente su due regioni del Mezzogiorno, Calabria e Sicilia. Ad entrambe l’autonomia differenziata procurerebbe danni mortali. Specie alla prima.  Se in questo momento Fratelli d’Italia e Forza Italia non si muovono è perché temono il crollo della coalizione che porterebbe inevitabilmente alle elezioni anticipate. Questa volta dall’esito incerto. Ma, di là delle convenienze dei partiti, esiste un elemento storico di proporzioni gigantesche che dovrebbe spaventare tutti coloro che si sentono ancora italiani: l’unità del nostro Paese. E’ vero che l’abbassamento del livello culturale – l’ho ricordato altre volte – che negli ultimi decenni si è abbattuto senza scampo sul corpo malandato dell’Italia, ha causato danni irreparabili. Resta però il fatto che l’idea dell’unità inculcata nella mente dei nostri ragazzi fin dai primi anni di scuola ha rappresentato un sentimento costante della nostra italianità.

Quello Stivale, con le regioni tinteggiate da colori diversi, che immancabilmente campeggiava sulla parete della scuola del villaggio più sperduto del nostro Paese, veniva  raffigurato immancabilmente dalla maestra come il simbolo identitario dell’Italia. Un Paese che aveva raggiunto l’unità molto tardi rispetto alla maggioranza delle nazioni europee e forse anche per questo la sentiva a pelle come l’elemento più importante della propria storia. Oggi questo sentimento è evaporato. Sotto la spinta degli interessi territoriali, la storia, l’epopea risorgimentale che aveva infiammato la nostra giovinezza, sembrano aver fatto il loro tempo. Dubito che il bergamasco Calderoli, il più forsennato nel portare in porto il testo sull’autonomia, sia discendente da uno di quei trecento suoi concittadini che il 5 maggio del 1860 s’imbarcarono con Garibaldi a Quarto alla volta della Sicilia per suggellare l’ultimo atto della nostra unità.

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