Manovra, la sinistra che demonizzava Meloni perché avrebbe “sfasciato i conti pubblici” adesso rimprovera a Meloni di non sfasciare i conti pubblici

Oggi la sinistra rimprovera al governo Meloni di aver varato una manovra troppo austera, senza spese pazze o sforamenti di bilancio. Eppure tre anni fa per tutta la campagna elettorale raccontavano che “l’estrema destra di Meloni e Salvini” avrebbe “sfasciato i conti pubblici e distrutto l’economia del Paese”: oggi però chiedono maggiori spese. Una contraddizione politica che smaschera propaganda e ideologia

Il dibattito politico di questi giorni in Italia ha assunto connotati particolarmente bizzarri rispetto ai commenti sulla Manovra Finanziaria del governo Meloni. Non solo le dure critiche dell’opposizione, ovviamente banali e scontate, ma anche il tenore delle risposte della maggioranza, portano il dibattito su un livello di assoluta decadenza politica e valoriale. La sinistra, infatti, rimprovera al Governo di aver realizzato una Manovra eccessivamente sobria, prudente e contenuta, di appena 18 miliardi. E partono gli strali sulle difficoltà economiche degli italiani e i pochi euro mensili che arriveranno in busta paga ai lavoratori. “Troppo poco, non si pagano neanche un caffè in più” accusano Pd e Movimento 5 Stelle.

La replica dei principali esponenti della maggioranza è limitata alle poche risorse, ai vincoli di bilancio e alla pesante eredità delle spese pazze della stessa sinistra (su tutti Superbonus e reddito di cittadinanza) nella precedente legislatura. Peccato, però, che la verità sia molto più profonda e che nessuno ha il coraggio di esprimerla pubblicamente.

La visione liberale della destra: non è lo Stato a dover dare i soldi ai cittadini

Innanzitutto, è doveroso chiarire che non è lo Stato a dover dare soldi ai cittadini. Almeno questo è il pensiero liberale, che oggi in Italia è ampiamente condiviso dalla coalizione di centrodestra e che si oppone alla visione sovietica tipica del comunismo. In quest’ottica, il governo Meloni ha subito abolito Superbonus e reddito di cittadinanza e ha iniziato, anno dopo anno, a tagliare le tasse sul lavoro, favorendo le assunzioni e quindi mettendo le condizioni per un naturale sviluppo del Paese tramite la crescita delle aziende private. Questo ha avuto un risultato ancor più significativo al Sud grazie alla Zes unica in vigore dal 2024 in tutte le Regioni meridionali.

In questo, i dati sono inequivocabili. L’Italia ha oggi il tasso di disoccupazione più basso da oltre 20 anni, ha la miglior economia europea con il più basso tasso di inflazione e il più alto Pil tra i grandi Paesi dell’eurozona, con enormi investimenti in Titoli di Stato da parte di investitori internazionali, tanto che la Borsa di Milano ha battuto ogni record storico mentre lo Spread è ai minimi assoluti da sempre. In questo contesto, tutte le agenzie di rating stanno alzando sensibilmente ogni valutazione sullo stato delle finanze del nostro Paese che mai negli ultimi decenni ha avuto questo grado di credibilità e affidabilità internazionale.

I tempi del governo Meloni: perchè la Manovra va contestualizzata nei provvedimenti di un’intera legislatura (a differenza dei precedenti…)

Il governo Meloni, inoltre, non è un governo “a tempo”. Non si tratta, come accaduto ai precedenti di Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte, Draghi, di esecutivi tecnici, nati nel palazzo, senza consenso nel Paese e quindi destinati a durare uno o due anni, al punto da giocarsi in una o due Manovre Finanziarie tutte le cartucce a loro disposizione, tra bonus assistenziali e regali in busta paga. Il governo Meloni è un governo di legislatura: in carica da tre anni, ha un ampio consenso – crescente – nel Paese e arriverà a fine legislatura. Approverà, quindi, almeno un’altra Manovra, e con ogni probabilità allestirà anche quella del 2027 che poi andrà in Parlamento proprio in concomitanza con le elezioni politiche.

Ogni azione del Governo in tal senso, quindi, va vista nel proprio complesso: non analizzando una singola Manovra, ma il percorso dalla prima all’ultima. E nonostante non sia finito, basta andare a vedere quali erano i livelli di tasse nel 2021, prima che arrivasse il governo Meloni, e quali sono oggi. Il Governo ha deciso – come aveva promesso in campagna elettorale e com’è ovvio per un esecutivo di destra – di tagliare le tasse sul lavoro, favorendo le assunzioni e lo sviluppo delle aziende private. Per farlo, ha tagliato notevolmente l’Irpef che già oggi con la Manovra Finanziaria 2026 è molto più bassa rispetto a quella ereditata da questo Governo, dopo 11 anni di governi di sinistra:

I livelli di Irpef nel 2021

  • No-Tax Area fino a 4.800€
  • Irpef 23% fino a 15.000€
  • Irpef 27% fino a 28.000€
  • Irpef 38% fino a 50.000€
  • Irpef 43% oltre i 50.000€

I livelli di Irpef dopo tre anni di governo Meloni

  • No-Tax Area fino a 8.500€
  • Irpef 23% fino a 28.000€
  • Irpef 33% fino a 50.000€
  • Irpef 43% oltre i 50.000€

La sforbiciata appare evidente. Nei primi due anni, il governo Meloni ha puntato tutto sui redditi più bassi, innalzando di quasi il doppio la no-tax area (e cioè la cifra di reddito che non viene sottoposta ad alcuna tassazione), e riducendo l’Irpef dal 33% al 28% per coloro che guadagnano fino a 28 mila euro annui. Non è solo un taglio del 5%, già notevole di per sè, bensì ulteriore considerando proprio l’aumento della no-tax area. Significativo anche il taglio delle tasse per il ceto medio: chi guadagna tra 28 e 50 mila euro l’anno, passa dal 38% dell’era pre-Meloni al 33% che pagherà dal 2026: anche qui siamo ad oltre il 5% di taglio, considerando l’aumento della no-tax area.

Il più grande paradosso delle accuse della sinistra

A fronte di questo scenario, il più grande paradosso della sinistra appare in ogni pubblico dibattito e in ogni trasmissione politica televisiva. Gli esponenti del Partito Democratico e del Movimento 5 Stelle rimproverano al governo di attenersi rigidamente ai vincoli di bilancio europei, di adottare misure austere e volte a tenere in ordine i conti. Eppure, tre anni fa durante la campagna elettorale che poi portò Meloni al successo elettorale, la stessa sinistra, gli stessi partiti, gli stessi esponenti politici demonizzavanol’estrema destra” – così la chiamavano – di Salvini e Meloni, assicurando che avrebbe “sfasciato i conti pubblici“, e ancora “mandato l’Italia in rovina“, provocando la “bancarotta dello Stato“. Sostenevano anche che questo governo avrebbe “cancellato i diritti, oppresso gli omosessuali, negato l’aborto“, assumendo connotati “fascisti“. Ovviamente nulla di tutto questo si è verificato: mai la destra italiana aveva promesso, o neanche fatto immaginare, scenari di questo tipo. Erano le storielle utili alla sinistra a fare propaganda sulla paura e raccogliere qualche briciola di consenso, dopo 11 anni di disastri alla guida del Paese.

Oggi, che il governo Meloni non ha riaperto i campi di concentramento, non ha “sfasciato i conti“, non ha “mandato l’Italia in bancarotta“, bensì ha dato al nostro Paese il governo più stabile dell’Occidente e la miglior economia europea, cosa fanno? Non sanno più cosa dire, e allora rimproverano al governo Meloni di essere troppo serio, troppo austero, di far quadrare i conti, di non sfasciarli appunto, di non utilizzare bonus, prebende e mancette come loro – la sinistra – avevano fatto negli anni precedenti. E’ la sinistra che demonizzava Meloni perché avrebbe “sfasciato i conti pubblici” che adesso rimprovera a Meloni di non sfasciare i conti pubblici!

Giorgia Meloni
Foto di Giuseppe Lami / Ansa