Anch’io vissi in una casa colonica nel bosco e furono gli anni più belli della mia vita

Vissi ai piedi dell’Aspromonte, in una casa colonica spoglia dei comfort del mondo moderno: niente luce, niente acqua corrente, niente bagno, nessun elettrodomestico

di Francesco Marrapodi – Ho amato tantissimo quel particolare periodo della mia vita, e spesso me lo ritrovo nei sogni: stare a contatto con la natura fu la cosa più bella che mi sarebbe potuta capitare. La natura ti abbraccia, ti avvolge di luce, ti parla con voce antica, ti educa con la sua saggezza primordiale e ti regala attimi capaci di farti sfiorare la vera essenza della felicità. Furono gli anni più intensi e solenni della mia esistenza. Lassù imparai tutto: il valore dell’essere umano, il mistero del tempo che scorre, il privilegio di vivere immerso in un mondo puro, fino al punto da sentirmi parte della grande armonia della Terra, quasi come un respiro cosmico.

Ai piedi dell’Aspromonte

Vissi ai piedi dell’Aspromonte, in una casa colonica spoglia dei comfort del mondo moderno: niente luce, niente acqua corrente, niente bagno, nessun elettrodomestico. Solo una vecchia radio a pile da cui mia nonna ascoltava la Santa Messa della domenica, come fosse un filo sottile che la legava al resto dell’umanità. Eravamo a cinque chilometri da Sant’Agata del Bianco e a tre da Samo, in provincia di Reggio Calabria. A pochi passi scorreva la fiumara Santa Venere, la stessa che ispirò Saverio Strati nel romanzo “Il selvaggio di Santa Venere”, vincitore del Premio Campiello. Era la casa dei miei nonni, contadini e pastori, custodi di una vita antica e autosufficiente. In quegli anni, quasi tutti vivevano così: in comunione con la terra, con i suoi frutti e i suoi silenzi.

Ci stupiamo delle scelte della famiglia del bosco?

La civiltà moderna ci stupiamo della scelta della “famiglia del bosco”, tanto da sottrarre loro i bambini. Forse dovremmo essere noi a prendere esempio da loro. Vivere nella natura è una delle avventure più profonde che possa capitare a un essere umano. Perché — l’ho detto e lo ripeto — la natura ti parla, ti educa, ti offre momenti di pura estasi, capaci di spalancarti le porte della vera felicità. Infatti, io lassù appresi molto più di quanto insegnino i libri di scuola: riconoscevo la voce delle stagioni, il linguaggio segreto delle api, degli uccelli, dei ruscelli; percepivo la pioggia e la neve molto prima che arrivassero. Prevedevo le tempeste e le giornate di vento, le più temute dai contadini, come se la montagna stessa mi confidasse i suoi umori.

Mio nonno mi insegnò a piazzare le trappole

Mio nonno mi insegnò a piazzare le trappole per prendere, solo quando necessario, il cibo che la natura concedeva. Seminavamo il grano, allevavamo polli, conigli, pecore e capre; avevamo un’asina con la quale raggiungevamo il paese per barattare i nostri prodotti con sale, zucchero, tabacco. Il fuoco lo accendevamo con le scintille di un attrezzo contadino, un gesto antico come il mondo. Facevamo il vino, l’olio, il pane, la pasta. La terra la si arava con i buoi, e non esisteva atmosfera più magica di quella del rientro, la sera, stanchi ma colmi nell’anima: ci raccoglievamo attorno al focolare, nella stanza rischiarata non dalla corrente elettrica ma dalla luce tremolante di una lucerna a olio. Una luce che accarezzava i nostri volti e scolpiva ombre che parevano spiriti antichi, custodi della nostra storia. Poi, dopo cena, la nonna ci incantava con i suoi racconti, che sembravano venire da un tempo senza tempo.

Era una vita che meritava di essere vissuta sino in fondo

Questa era la vera felicità: una vita autentica, semplice, liberata dalle inquietudini e dalle tossine del mondo moderno. E oggi ci stupiamo di una famiglia felice che ha avuto il coraggio di scegliere una vita sana, lontana dalla malvagità del mondo. Non nego che l’istruzione dei bambini sia un tema da affrontare — e si può affrontare — ma condannare chi ha trovato la forza di vivere in autosufficienza, in armonia con la natura, senza inquinare, senza nutrirsi di cibo avvelenato, lontano dal veleno della società… questo no. Quella scelta merita rispetto. Forse, addirittura, ammirazione. Forse, un giorno, sarà ricordata come un esempio da seguire.