di Giuseppe Romeo – C’è un paradosso che sta diventando sempre più evidente sulle due sponde dello Stretto: mentre Messina incassa opere compensative fondamentali — dalla ristrutturazione della rete idrica a quella viaria, che saranno rese efficaci con la registrazione della corte dei conti e dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dalla delibera Cipess del 6 agosto — Reggio Calabria e Villa San Giovanni rimangono ferme, imprigionate dentro il recinto del “no”.
Non è più una questione di opinioni personali sul Ponte: la decisione è stata presa dal governo legittimamente eletto dai cittadini. Piaccia o no, questa è la democrazia. E se le regole della democrazia portano oggi alla realizzazione di una delle opere più discusse e al tempo stesso più strategiche d’Europa, il compito dei sindaci dovrebbe essere chiaro: difendere gli interessi delle comunità che amministrano, non inseguire visibilità effimera o carriere politiche personali. Invece assistiamo allo spettacolo di due primi cittadini che, prigionieri di un narcisismo politico ormai logoro, preferiscono sventolare la bandiera del “no” ad oltranza. No a nuovi posti di lavoro, no a nuove infrastrutture, no a un volano turistico che potrebbe cambiare il destino di due regioni e due città metropolitane. No, persino, alla speranza di crescere.
Così, mentre Messina ottiene risorse e interventi che resteranno anche oltre il Ponte, Reggio e Villa rischiano di restare indietro, private di opere che — va detto con franchezza — o si ottengono adesso o non si otterranno mai più. E intanto i problemi atavici restano lì: scarichi a mare, depurazione inesistente, strade dissestate, scuole bisognose di interventi, carenza cronica di posti letto per un turismo che già oggi cresce grazie ai nuovi collegamenti aerei e che domani potrà aumentare grazie al cosiddetto “effetto Ponte”.
Non slogan, non battaglie ideologiche sterili
È questo che chiedono i cittadini: serietà, responsabilità, visione. Non proclami, non slogan, non battaglie ideologiche sterili. I sindaci di Reggio e Villa si mettano una mano sulla coscienza e scelgano di lavorare per il bene comune. Non per la loro poltrona. Non per l’applauso di una piazza momentanea.
Il copione è sempre lo stesso: sventolare slogan contro il Ponte per garantirsi qualche applauso di circostanza, e intanto condannare due città a restare immobili, sommerse dai soliti problemi che conosciamo da decenni. Lo facciano per noi, per i nostri figli, per le generazioni che verranno. Perché lo sviluppo o si costruisce oggi, con coraggio e concretezza, oppure rimarrà l’ennesima occasione perduta in una terra che di occasioni perdute ne ha già avute troppe.
La verità è che serve coraggio: quello di trattare con Roma, di battere i pugni sul tavolo e di ottenere tutto ciò che può servire per risolvere problemi storici. Non il coraggio di dire “no” a prescindere, perché il “no” non costruisce nulla. Il “no” mantiene soltanto le poltrone calde. E mentre loro continuano a farsi belli nelle conferenze stampa, Reggio e Villa restano immobili. Anzi, peggio: restano ostaggio del loro ego.
