Liev Schreiber, Debra Messing e Mayim Bialik sono solo alcuni dei oltre 1.200 nomi dell’industria dell’intrattenimento che hanno firmato una nuova lettera aperta per esprimere la loro contrarietà all’appello per il boicottaggio delle istituzioni cinematografiche israeliane a causa della guerra a Gaza. La lettera, diffusa ieri dalle organizzazioni no profit Creative Community for Peace e The Brigade, invita i quasi 4.000 firmatari del boicottaggio – tra cui Emma Stone e Joaquin Phoenix – a rivedere la propria posizione. Lo riporta l’Adnkronos.
Tra i firmatari della nuova lettera aperta ci sono anche Gene Simmons, Sharon Osbourne, Greg Berlanti, Jerry O’Connell, Howie Mandel, Jennifer Jason Leigh, Lisa Edelstein, Erin Foster, Anthony Edwards, Rebecca De Mornay, Sherry Lansing e Haim Saban.
“La forza del cinema sta proprio nella sua capacità di raccontare storie e creare empatia“, si legge nel testo. “Ed è per questo che non possiamo restare in silenzio quando la narrazione viene usata come arma, quando la disinformazione si traveste da giustizia e quando gli artisti vengono coinvolti in campagne che, spesso inconsapevolmente, diffondono propaganda antisemita“.
“Il documento promosso con il nome ‘Film Workers for Palestine’ non rappresenta un gesto di coscienza – prosegue la lettera – ma piuttosto un testo fuorviante che promuove censura arbitraria e la cancellazione dell’arte. Silenziando proprio quelle voci che cercano un terreno comune e vogliono esprimere la propria umanità, si compie un’azione non solo sbagliata, ma anche inefficace e simile a una punizione collettiva“.
Per Debra Messing, star dell’amata sitcom ‘Will & Grace’, “quando gli artisti boicottano altri artisti solo per la loro nazionalità, si tratta di discriminazione e tradimento del nostro ruolo come narratori. I boicottaggi contro gli ebrei sono stati spesso strumenti di regimi autoritari. Chi aderisce a questa iniziativa, consapevolmente o meno, si schiera con una lunga e oscura storia di antisemitismo“.
Le fa eco la collega Mayim Bialik: “boicottare cineasti, case di produzione e creativi soltanto perché israeliani alimenta la divisione e contribuisce a una cultura pericolosa di esclusione. Inoltre, questa iniziativa non aiuta a fermare la guerra a Gaza, non libera gli ostaggi e non combatte l’ondata crescente di antisemitismo nel mondo“, conclude.
