C’è un’immagine che più di tutte descrive la parabola politica di Giuseppe Falcomatà: un sindaco candidato al Consiglio regionale che si trova come avversari non solo il centrodestra, ma il suo stesso vicesindaco, il presidente del Consiglio comunale, mezza giunta e gran parte della maggioranza che in teoria avrebbe dovuto sostenerlo. Una scena quasi surreale, ma che racconta meglio di mille analisi la disfatta di un leader che non è mai stato tale. Per anni Falcomatà ha coltivato il culto della propria immagine, ignorando la provincia, esautorando fedelissimi, premiando yes-men e distribuendo deleghe non per merito ma per convenienza.
Gli ex amici di Falcomatà gli voltano le spalle e i presunti alleati lo sostengono controvoglia
Il risultato? Oggi i suoi ex assessori e delegati lo sfidano apertamente, gli ex amici gli voltano le spalle e i presunti alleati lo sostengono controvoglia, più per mancanza di alternative che per convinzione. Gli ultimi rimpasti sono stati un manuale di errori: dentro figure come Burrone, oggi arruolato nello schieramento del vicesindaco Versace; dentro Lucia Nucera, oggi in tandem con Ranuccio; dentro Palmenta, oggi in abbinata con De Gaetano. Tutti, ma proprio tutti, oggi gli si rivoltano contro. Persino Quartuccio, un tempo vetrina del sindaco e del suo sistema familiare-politico, vota sereno per Giovanni Muraca, nuovo “nemico giurato” dell’ex amico. Falcomatà, insomma, è riuscito nell’impresa di ingrassare i suoi avversari e di restare politicamente isolato, abbandonato persino da chi lo aveva sempre difeso.
Squadra da retrocessione
Gli sono rimasti attorno pochi fedelissimi, stanchi e sempre meno convinti, e un manipolo di consiglieri senza più credibilità che lo sostengono solo per convenienza. Una squadra da retrocessione, altro che leadership. E mentre il sindaco si scopre improvvisamente “uomo della provincia”, gira per borghi che non ha mai visitato in dodici anni da sindaco metropolitano, ammettendo senza pudore che l’area è stata trascurata. Ma chi pensa di convincere? Non si recupera in dieci giorni di campagna elettorale ciò che si è ignorato per oltre un decennio. Il problema è che Falcomatà ha scambiato il titolo con la leadership. Essere sindaco non basta: servono visione, capacità di costruire consenso, rispetto per la propria squadra e un minimo di strategia. Tutte doti che non si comprano e che, a giudicare dai fatti, non appartengono al suo bagaglio.
Falcomatà appare solo
Oggi Falcomatà appare solo, nervoso e pronto a giocarsi l’ennesimo rimpasto post-elettorale come ultima arma per sopravvivere. Non per la città, non per Reggio, ma per regolare conti personali con chi ha avuto il coraggio di alzare la testa. Un epilogo triste ma inevitabile per chi ha scambiato la guida di una comunità con la gestione di un condominio politico fondato su rancori e fedeltà personali. La verità è amara: Falcomatà ha perso tutto, persino la sua ombra.
