In un’epoca in cui molte amministrazioni si interrogano su come gestire traffico, inquinamento e consumo di suolo, alcune città europee hanno scelto una via netta, coraggiosa, in controtendenza: non costruire nuovi parcheggi, nemmeno sotterranei, e in molti casi rimuovere quelli esistenti, restituendo spazio alla città pubblica.
Può sembrare una forzatura. Invece è una visione. E i risultati parlano da soli.
Per decenni, il dibattito sulla presenza delle auto nei centri urbani si è concentrato su una questione apparentemente tecnica: dove metterle?. La risposta ricorrente è stata: sotto terra. I parcheggi sotterranei sono stati ritenuti la soluzione ideale per tenere le auto “fuori vista”, senza rinunciare alla loro presenza e accessibilità.
Ma oggi molte città, grandi e medie, hanno abbandonato questo approccio, riconoscendo che anche i parcheggi sotterranei generano traffico, attraggono auto, e creano infrastrutture che ancorano la mobilità urbana all’automobile privata. La logica del parcheggio perpetua l’uso dell’auto, e chi progetta città vivibili deve necessariamente affrontare il nodo alla radice.
È ciò che hanno fatto Pontevedra, Oslo, Gand, Zurigo, Norimberga e ora anche Parigi: amministrazioni diverse per cultura, dimensione e geografia, ma tutte accomunate da una scelta radicale – non più parcheggi in centro.
A Pontevedra (Spagna), una città di 83.000 abitanti, la svolta è arrivata già nel 1999: il traffico è stato bandito dal centro, i parcheggi (in superficie e sotterranei) sono stati eliminati, e l’intera accessibilità ripensata a misura di pedone. In oltre vent’anni, nessun morto in incidente stradale in centro, emissioni di CO₂ dimezzate, e una qualità della vita invidiata in tutta Europa.
Anche Oslo ha scelto di non realizzare più parcheggi nel centro storico. Non solo: ha progressivamente rimosso i parcheggi esistenti, chiuso intere aree al traffico privato, e puntato tutto su trasporti pubblici e ciclabilità. È un modello che ha generato inizialmente polemiche, ma oggi è riconosciuto tra i più efficaci esempi di trasformazione urbana post-automobile.
Zurigo, con il suo “modello” già adottato negli anni ’90, ha imposto un tetto massimo al numero totale di posti auto nel centro. Ogni nuovo parcheggio può essere costruito solo se uno esistente viene eliminato. È un principio semplice e potente, che ha stabilizzato la mobilità urbana e reso impossibile la crescita del traffico motorizzato.
A Gand (Belgio), il centro è stato suddiviso in “settori” non collegati direttamente in auto, e la sosta – anche sotterranea – è stata fortemente limitata, con parcheggi periferici e accesso al centro solo tramite trasporto pubblico o bicicletta. Un centro commerciale e pedonale che ha visto crescere le presenze e il commercio, anziché soffrire, come molti temevano.
Norimberga, infine, ha scelto di non costruire nuovi parcheggi per proteggere il centro storico, puntando su un approccio orientato alla conservazione urbana e alla mobilità alternativa. Anche in questo caso, meno traffico ha significato più vita urbana.
E poi c’è Parigi, che non ha formalizzato un divieto assoluto ai parcheggi sotterranei, ma nei fatti ha bloccato qualsiasi nuova costruzione nel centro cittadino, orientandosi verso la rimozione progressiva di 70.000 posti auto su strada entro il 2026. Non solo: molti parcheggi esistenti verranno riconvertiti per ospitare depositi di biciclette, spazi per la logistica dell’ultimo miglio, o funzioni sociali. L’obiettivo è chiaro: una città post-auto, dove il centro è accessibile, ma non in auto privata.
In tutti questi casi, ciò che colpisce non è solo la coerenza politica, ma la visione: non si tratta di rinunciare a qualcosa, ma di scegliere altro. Scegliere più spazio per i pedoni, più verde, più sicurezza stradale, più silenzio. E meno dipendenza da un mezzo che ha dominato lo spazio pubblico del Novecento.
Italia, la strada che (ancora) non si imbocca
Nel nostro Paese, invece, la tendenza prevalente è ancora molto diversa. Molte città italiane continuano a realizzare parcheggi sotterranei proprio nei centri storici, in nome di un’accessibilità automobilistica che resta prioritaria, anche laddove lo spazio è fragile o congestionato.
A Firenze, ad esempio, è in discussione la costruzione di nuovi parcheggi sotterranei in piazze storiche come piazza del Carmine e piazza Brunelleschi, nonostante le forti critiche di urbanisti e residenti.
A Bologna, sono stati realizzati (o pianificati) parcheggi sotterranei sotto aree pedonali centrali, come piazza VIII Agosto, con l’intento di “liberare la superficie”, ma senza disincentivare realmente l’uso dell’auto.
Anche Verona e Torino hanno investito in parcheggi sotterranei sotto i centri storici o in prossimità delle ZTL, spesso con l’idea che questo favorisca il commercio e la “riqualificazione”.
Eppure, le esperienze europee mostrano esattamente il contrario: l’equazione “più parcheggi = più vitalità urbana” è falsa. La vera vitalità nasce dallo spazio condiviso, accessibile, sicuro, dove le persone si fermano, passeggiano, si incontrano. Non dove si parcheggia.
Una scelta culturale, non solo tecnica
Il rifiuto di costruire parcheggi nel centro città non è una questione solo urbanistica o ambientale. È una scelta culturale, che rimette in discussione l’egemonia dell’automobile nello spazio pubblico.
Significa ridefinire chi ha diritto allo spazio urbano: solo chi guida e parcheggia, o anche chi cammina, pedala, gioca, conversa, vive?
Le città che hanno detto “no” al parcheggio hanno dimostrato che rinunciare può significare guadagnare: più qualità, più salute, più sicurezza, più equità. Non è più una sperimentazione. È una direzione chiara, e i benefici sono misurabili. Ora tocca alle altre città – anche in Italia – decidere da che parte della storia stare.
