Negli ultimi anni, in molte città italiane, è esplosa la febbre da pista ciclabile. Complici gli incentivi per la mobilità sostenibile e una rinnovata attenzione all’ambiente, si è assistito a un proliferare di corsie riservate alle biciclette, spesso realizzate in tempi record e con investimenti considerevoli. Ma a fronte di questo entusiasmo, emerge una domanda fondamentale: ci stiamo muovendo nella direzione giusta? La risposta, purtroppo, non è sempre positiva. In molte realtà, le piste ciclabili appaiono più come interventi improvvisati, scollegati da una visione urbanistica coerente. Tratti brevi, interrotti, mal segnalati, o addirittura pericolosi: così si presenta oggi gran parte del panorama ciclabile italiano. Il rischio è che la bicicletta, da simbolo della mobilità sostenibile, diventi invece un’ulteriore vittima della cattiva pianificazione.
Non basta dipingere una striscia sull’asfalto
Il problema principale è che troppe piste ciclabili vengono progettate con un approccio superficiale. In molti casi, si limita lo spazio delle carreggiate esistenti, creando corsie risicate, promiscue con il traffico automobilistico, oppure mal integrate con il contesto urbano. Il risultato è che l’utente della bici non si sente al sicuro e preferisce rinunciare all’uso quotidiano della bicicletta.
Realizzare una pista ciclabile non significa semplicemente dipingere una linea bianca sull’asfalto. Serve una progettazione vera, che consideri l’intermodalità, la connessione tra quartieri, i punti strategici come scuole, stazioni e uffici. Serve, soprattutto, una visione di città, in cui la bicicletta abbia uno spazio dedicato e protetto, in armonia con pedoni, trasporto pubblico e viabilità privata.
Il paradosso della quantità
Spinti dal bisogno di “spendere i fondi” e mostrare risultati rapidi, molti Comuni hanno avviato un’autentica corsa ai chilometri ciclabili. Ma in questo slancio quantitativo si è spesso trascurata la qualità. Alcune città vantano decine di chilometri di piste, ma nessuna di queste è davvero utilizzabile in sicurezza o continuità.
Il paradosso è che meno chilometri ben progettati potrebbero essere più efficaci di centinaia mal connessi. Meglio poche piste ben fatte, ampie, protette, integrate, piuttosto che una rete frammentata e confusa che finisce per scoraggiare proprio chi si vorrebbe incentivare.
Investire sulla qualità, non solo sull’immagine
Il concetto “facciamone meno, ma facciamole meglio” non è un invito a rallentare sulla mobilità sostenibile, anzi. È una chiamata alla serietà progettuale. Le piste ciclabili devono essere pensate come infrastrutture permanenti, non come soluzioni provvisorie o interventi da vetrina. Serve coinvolgere urbanisti, ingegneri, ciclisti urbani, e usare criteri rigorosi per ogni nuovo progetto.
E soprattutto, occorre pensare alla bicicletta non come un accessorio, ma come un vero e proprio mezzo di trasporto urbano. Solo così si potrà davvero incentivare un cambio di abitudini, ridurre il traffico, abbattere le emissioni e migliorare la vivibilità delle nostre città.
Le piste ciclabili possono essere uno strumento formidabile di trasformazione urbana, ma solo se costruite con logica, visione e competenza. È tempo di dire basta alla logica del “chilometro facile” e di puntare su progetti di qualità, continui, sicuri e realmente utili. Perché la mobilità sostenibile non si misura in metri di vernice, ma in cambiamento reale delle abitudini.
