Ogni mattina un tifoso del Brescia si alzerà e scoprirà che, se quel giorno la sua squadra gioca contro una calabrese, sarà… maledizione. E quindi sconfitta. E quindi, dopo una lotta equilibrata in campo, gol subìto nel finale, a suonare come una beffa. Maledizione, sì. Non c’è termine più corretto. Ieri, la squadra lombarda ha perso in casa contro il Catanzaro: dopo l’iniziale vantaggio, si è fatta rimontare, ha pareggiato e ha poi subito il gol del definitivo 2-3 al 97′.
Ricorda qualcosa? Ricorda il 2-3 del Cosenza dello scorso 9 novembre. Sotto 0-2, rimonta sul 2-2 e gol finale dei rossoblu al 95′. Ma non è finita. Ricorda, anche, un 2-3 dolcissimo per i tifosi della Reggina, quello del 18 aprile 1999, quello della doppietta di Possanzini, della rimonta di Mero e Marino e del super gol di Ciccio Cozza, quel destro perfetto sotto l’incrocio da fuori area che sancì la bellissima storia tra gli amaranto e il capitano. E che lanciò difatti la squadra dello Stretto verso la prima storica Serie A.
Dunque, se ci mettiamo anche la rete al fotofinish sempre del Cosenza nel playout di qualche anno fa – quello da cui scaturì la guerriglia dei tifosi bresciani, la retrocessione sul campo e la conseguente riammissione in seguito al disastro Saladini – per il Brescia è vera e propria maledizione. Ma questa è un’altra storia. Al di là di statistiche, similitudini, almanacchi, ricordi, nostalgia, sogni e quant’altro, la realtà rivela un fatto incontrovertibile (e forse anche inaspettato): il Catanzaro è ancora lì, di nuovo, un anno dopo, a lottare nei piani alti.
Perché non era semplice confermarsi (ma anzi era più difficile dello scorso anno)
Lo avreste mai immaginato? Non tutti. Non tanti addetti ai lavori, sicuramente. E, a dirla tutta, forse neanche la stessa società giallorossa. Perché sapeva che si sarebbe aperto un nuovo ciclo e perché sapeva che la risalita sarebbe stata lenta e sofferente. Via un allenatore amato e vincente dopo tre anni; via diversi protagonisti della promozione e della grandissima stagione scorsa; dentro qualche scommessa e qualche giovane di belle speranze, con un allenatore non di certo alla prima avventura ma con tanto ancora da dimostrare.
Risultati? Ad oggi, 27 gennaio 2025, il Catanzaro è sesto, in piena zona playoff, appaiato al quinto posto. Ma c’è di più: non perde da cinque partite, nelle ultime diciassette gare ha perso una volta sola e in più di un girone è stata battuta soltanto in tre occasioni (al pari di Sassuolo e Pisa, meglio ha fatto solo lo Spezia con due stop stagionali). Mostra un grande equilibrio, un’ottima solidità e difficilmente butta via le partite, mostrandosi cinica quando serve e molto attenta nella gestione delle due fasi. Un Catanzaro diverso, rispetto a quello di Vivarini (che era più sbarazzino e divertente), ma altresì efficace e produttivo.
Ed è proprio questo l’aspetto da considerare ed evidenziare, ai più sorprendente. In Serie B, infatti, capita spesso che una squadra neopromossa riesca a fare benissimo nell’anno successivo, centrando il doppio salto o sfiorandolo. Ma, in caso di mancato accesso alla Serie A, è anche molto probabile che nella stagione successiva vada incontro a sofferenze. Questo, fisiologicamente, soprattutto se si cambia ciclo, allenatore e giocatori. Ma anche, in linea generale, modificando poco, sulla scia però di un percorso considerato dai tanti concluso. Un esempio praticò è il Bari di Mignani, a un minuto dalla Serie A due anni fa e a un passo dalla Serie C nella scorsa stagione, con la permanenza ottenuta solo dopo il playout contro la Ternana.
Dunque, la consapevolezza di una stagione difficile in casa Catanzaro c’era. Non parliamo per forza di ultimi posti, sconfitte in serie e retrocessione, ma quantomeno di lotta per la salvezza, di squadra meno brillante e sicura. E invece, dopo oltre un girone, la zona playout dista 10 punti ed è quella playoff a stuzzicare ancora la fantasia dei tifosi, pur considerando una classifica cortissima in quella zona.
Non tutto è frutto del caso: i meriti della proprietà Noto
Tutto questo, uscendo da una visione superficiale e affrettata della realtà, ci riporta subito a terra, con lucidità, e ci fa capire che non è frutto del caso. Se il Catanzaro anche quest’anno lotta in zona playoff, e sogna traguardi ambiziosi, il merito è dei vertici societari, della loro solidità, serietà, credibilità, agli occhi della città e della Lega. L’US è oggi una solida realtà della Serie B, del calcio italiano e dell’estremo Sud in particolare. La quinta in Italia, nel meridione, dietro solo a Napoli, Cagliari, Lecce e Juve Stabia (che è davanti di un solo punto).
La proprietà Noto, subentrata da ormai un po’ di anni, ha agito sempre con logica e competenza, senza follie ma senza neanche “ritirare il braccio” in maniera eccessiva. Anzi, ha speso tanto, negli anni della Serie C, consapevole di quanto fosse più difficile una promozione in B che una salvezza. L’ha centrato, quell’obiettivo, e sta continuando a mantenersi su alti standard, con diplomazia ed eleganza, senza cattive figure. E se in Sicilia si fatica – ma sarà solo questione di tempo, considerando le diverse e ricche proprietà sparse tra Palermo, Catania e Trapani – in Calabria ad oggi è la squadra giallorossa a portare in alto il nome della Regione, con un Cosenza che annaspa e che rischia la retrocessione, con il Crotone in C ma dopo anni di successi, con Vibonese e Reggina in D.
Una conferma, ove ce ne fosse bisogno, che nel calcio servono tante risorse economiche e tante competenze. Con una sola, oggi, nel calcio moderno, non si va da nessuna parte. Se poi mancano entrambe, la frittata è fatta. Al di là di quelle che possono risultare rivalità più o meno storiche con altre piazze, antipatie personali o simili, ad oggi qualsiasi tifoso calabrese non di Catanzaro dovrebbe – con assoluta onestà intellettuale e scevro da condizionamenti di tifo o fede – guardare con ammirazione a una proprietà e società strutturata con intelligenza, competenza e buone risorse economiche. Negli ultimi 30 anni, in Calabria, l’olimpo del calcio lo ha raggiunto solo chi ha operato in questo modo. Perché questo sport è imprevedibile ma la ricetta per vincere, in fondo, è più facile a farsi che a dirsi.
