Cosa ci fa un ciondolo a forma di teschio e realizzato in pietra lavica proveniente da Bova Marina a Perugia? E perché un anello appartenuto ad un soldato di Palizzi reduce della prima guerra mondiale, ottenuto da due chiodi a testa tonda ripiegati due volte su sé stessi ed agganciati tra loro, gli fa compagnia, esposto a qualche teca di distanza? Proviamo a dare qualche risposta.
“Trovandomi per un congresso a Perugia, ho colto l’occasione di visitare il Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria, il quale, tra i vari reperti, ospita anche una collezione di amuleti, prevalentemente di epoca contemporanea – spiega Francesco Ventura – Sono circa tremila pezzi e sono stati raccolti tra il 1871 ed il 1920 dal poliedrico scienziato perugino Giuseppe Bellucci. Buona parte di essi provengono ovviamente dall’Umbria, ma da quella immensa mole di manufatti, più di una volta hanno fatto capolino tra le didascalie oggetti provenienti prevalentemente dalla provincia reggina e dalle cosentine San Marco Argentano, San Fili e Rose: evidentemente tutte aree in cui Bellucci ebbe modo di svolgere alcune delle sue ricerche“. L’esposizione è ora parte della collezione permanente del Museo. Essa rappresenta uno dei primi tentativi metodici di analizzare in modo sperimentale la reinterpretazione a scopo magico-protettivo di antichi manufatti paleo-neolitici attuata e tramandata dal mondo contadino.
“Una “breve” in tessuto di raso violaceo, ossia un amuleto di origine trecentesca, è stato raccolto dal Bellucci a Laureana di Borrello, e presenta una decorazione di perline azzurre in vetro veneziano. Da Gerace è stato invece acquisto un esemplare essiccato di ippocampo, il quale fa coppia con un amuleto complesso in corallo rosso proveniente da Bianco. Un finto corallo invece è il materiale artificiale con cui è stato realizzato un cornetto di Siderno – illustra Ventura – Non mancano i classici ferri di cavallo, raccolti a Stilo. Più approfondite sono invece le didascalie degli artefatti di origine cosentina. Molti di quelli provenienti da San Marco Argentano sono ad esempio realizzati in madreperla, poiché tale materiale era in loco abbondante grazie agli scarti di un’allora fiorente industria manifatturiera di bottoni. Piccoli corni e manine stringenti corna rappresentano il grosso degli amuleti cosentini, i quali, per lo stile ed i colori, evidenziano una chiara influenza partenopea”.