Reggio Calabria, iniziativa sulla strage di Marcinelle”

"Nel 68° anniversario della strage di Marcinelle", è il titolo della conversazione organizzata dal Circolo Culturale "L'Agorà" di Reggio Calabria

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“Nel 68° anniversario della strage di Marcinelle” è il titolo della conversazione organizzata dal Circolo Culturale “L’Agorà”. Nel corso della giornata di studi, organizzata dal sodalizio reggino, saranno oggetto di analisi diverse cifre, relative agli eventi che si svolsero nella cittadina belga. Il nuovo incontro, predisposto dal sodalizio culturale organizzatore, ha registrato la presenza, in qualità di relatore, di Gianni Aiello, Presidente del sodalizio organizzatore. Nel corso della giornata di studi, organizzata dal sodalizio reggino, sono state oggetto di analisi diverse cifre, relative alla tragedia che si verificò nella mattinata di mercoledì 8 agosto, a Bois du Cazier, miniera di carbon fossile, nel territorio dell’allora comune di Marcinelle, vicino Charleroi, in Belgio. La miniera di Bois du Cazier, nel comune di Marcinelle, era una dei molti pozzi per l’estrazione del carbone scavati nel paese. Attiva dal 1830, era stata una protagonista della precoce industrializzazione del paese nel corso del XIX secolo. Dopo la fine del secondo conflitto mondiale, nel Belgio si verificò la necessità di manodopera, tenuto anche conto che i minatori locali non erano più disposti a lavorare nelle antiquate e poco sicure locations carbonifere del territorio.

Il Bois du Cazier fu la prima miniera in Vallonia, aperta nei primi decenni dell’Ottocento. Aveva strutture a dir poco antiquate. Avrebbe dovuto essere chiusa ma il prezzo internazionale del carbone dopo il ’45 permetteva a questa vetusta miniera di rimanere attiva. Il 23 giugno 1946 fu firmato il Protocollo italo-belga che prevedeva l’invio di 50.000 lavoratori in cambio di carbone. Nacquero così ampi flussi migratori verso il paese, uno dei quali, forse il più importante, fu quello degli italiani verso le miniere belghe. Nel 1956, fra i 142 000 minatori impiegati, 63 000 erano stranieri e fra questi 44 000 erano italiani. Tra il 1946 e il 1956 più di 140 mila italiani varcarono le Alpi per andare a lavorare nelle miniere di carbone della Vallonia.

Era il prezzo di un accordo tra Italia e Belgio che prevedeva un gigantesco baratto: l’Italia doveva inviare in Belgio 2mila uomini a settimana e, in cambio dell’afflusso di braccia, Bruxelles si impegnava a fornire a Roma 200 chilogrammi di carbone al giorno per ogni minatore. Il boom economico del dopoguerra aveva lasciato il Belgio con un bisogno disperato di manodopera e un accordo con il governo italiano aveva creato un corridoio preferenziale per l’arrivo di 50mila lavoratori. All’epoca in Belgio c’erano 44mila lavoratori italiani regolarmente registrati, provenienti in gran parte dalle regioni più povere dell’Italia. Per convincerli a emigrare in Belgio, in tutta Italia si afflissero manifesti che presentavano gli aspetti allettanti del lavoro oltralpe. In realtà, le condizioni di vita che avrebbero trovato erano veramente dure.

I lavoratori vivevano nelle famose cantines, baracche gelide d’inverno e cocenti d’estate situate in ex campi di concentramento dove pochi anni prima erano stati sistemati i prigionieri di guerra. In più dovevano sopportare il peso della discriminazione: spesso sulle porte delle case da affittare i proprietari scrivevano a chiare lettere “ni animaux ni etranger” (né animali né stranieri). Quella strage, dovuta al propagarsi di un incendio, causò la morte di 262 minatori, che morirono per le ustioni, il fumo e i gas tossici. 136 erano italiani. Causa dell’incidente fu un malinteso sui tempi di avvio degli ascensori. Si disse che all’origine del disastro fu un’incomprensione tra i minatori, che dal fondo del pozzo caricavano sul montacarichi i vagoncini con il carbone, e i manovratori in superficie.

Il montacarichi, avviato al momento sbagliato, urtò contro una trave d’acciaio, tranciando un cavo dell’alta tensione, una conduttura dell’olio e un tubo dell’aria compressa. Erano le 8 e 10 quando le scintille causate dal corto circuito fecero incendiare 800 litri di olio in polvere e le strutture in legno del pozzo. Norme di sicurezza approssimative e un pozzo della cui chiusura si discuteva da almeno trent’anni provocarono l’immane tragedia.. Ci furono due processi, che portarono nel 1964 alla condanna di un ingegnere (a 6 mesi con la condizionale).Dei 262 operai tragicamente deceduti nella strage di Marcinelle, 136 erano italiani, quasi tutti provenienti dal mezzogiorno d’Italia. Metà erano abruzzesi, e buona parte erano calabresi provenivano da Reggio Calabria, Cosenza, e da altre aree della regione.

Quattro i calabresi morti nello spaventoso incendio di cui 3 reggini. Tra il 1946 e il 1955, quasi 500 operai italiani trovano così la morte nelle miniere belghe, senza contare i deceduti a causa delle malattie d’origine professionale. Queste alcune delle cifre che saranno oggetto di analisi da parte di Gianni Aiello (Presidente del Circolo Culturale “L’Agorà”). La conversazione, organizzata dal sodalizio culturale reggino, sarà disponibile, sulle varie piattaforme Social Network presenti nella rete, a far data da giovedì.

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