E’ stata l’ennesima maxi operazione contro la ‘ndrangheta in Calabria. Per capire quanti sono i colpevoli bisognerà attendere, ma gli indagati nell’inchiesta “Reset” che ha portato allo scioglimento del comune di Rende sono 252. Gli investigatori avevano scoperchiato un vaso di Pandora, dal quale sono emersi gli interessi delle ‘ndrine sul Comune di Rende. Non solo. Tra le ipotesi della Dda di Catanzaro si parlava anche di rapporti tra amministratori e presunti boss.
E ieri sera, dal Consiglio dei ministri, è arrivato il provvedimento con il quale si è deciso lo scioglimento del consiglio comunale di Rende, grosso centro alle porte di Cosenza, sede dell’Università della Calabria, su proposta del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.
Il maxi blitz della Dda di Catanzaro risale ad un anno fa, quando nell’occhio del ciclone finì anche il sindaco di Rende Marcello Manna (al momento sospeso), l’ex assessore ai Lavori pubblici del Comune di Rende Pino Munno e l’assessore comunale di Cosenza Francesco De Cicco. L’operazione “Reset” del primo settembre di un anno fa ha inferto un duro colpo ai clan confederati del Cosentino. Tra gli accusati ci sono numerosi rappresentanti delle principali consorterie mafiose, politici, amministratori, imprenditori.
Nel recente provvedimento di chiusura delle indagini, però, firmato da Nicola Gratteri, emergono delle novità. Gli indagati sono, in totale, 252 per i quali si sta svolgendo in questi giorni l’udienza preliminare. Ma ci sono nuovi elementi perché, intanto, è spuntato un collaboratore di giustizia, Ivan Barone, ritenuto uno dei componenti del gruppo degli Zingari. Fondamentale anche il contributo di un altro collaboratore di giustizia, che di recente ha deciso di parlare. Si tratta del pentito Danilo Turboli.
