Tra i migranti morti c’è Shahida, atleta pakistana che voleva far curare il figlio disabile

Shahida Raza era partita dalla Turchia per venire in Europa per cercare un ospedale nel quale avrebbe dovuto curare il figlio di tre anni, disabile

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Shahida Raza si era imbarcata dalla Turchia all’Italia nella speranza di un futuro migliore. Era una giocatrice di hockey pachistana, i cui sogni si sono infranti di fronte alle coste di Steccato di Cutro. L’atleta 27enne era tra le vittime del tragico incidente di un barcone di migranti. Raza, che veniva chiamata con il nomignolo Chintu, era stata anche una calciatrice. Stava attraversando un momento difficile dopo il divorzio dal marito e proprio questo l’aveva spinta a prendere la decisione di emigrare in Europa, dove sperava anche di poter far curare il figlio disabile.

Shahida Raza apparteneva alla comunità sciita Hazara e viveva nella città di Quetta, nella provincia del Balochistan. La comunità Hazara è stata ripetutamente presa di mira da gruppi estremisti sunniti tra cui l’Isis negli ultimi anni. Migliaia di membri della comunità Hazara sono emigrati sia legalmente sia illegalmente in altre parti del mondo, compresa l’Europa. Era partita nella speranza di trovare cure mediche per il figlio disabile di 3 anni. Il particolare è stato raccontato ad Associated Press dalla sorella e da un’amica. Gli ospedali pakistani – raccontano la sorella e l’amica – le avevano detto che l’aiuto oltreoceano era la sua unica opzione.

Hassan, il figlio disabile di Shahida

Il suo bambino, Hassan, non era sulla barca ed è rimasto in Pakistan. Da neonato ha riportato danni cerebrali e ha un lato del corpo paralizzato, dalla testa ai piedi. “Voleva solo che suo figlio disabile di 3 anni si muovesse, ridesse e piangesse come gli altri bambini“, ha riferito ad AP la sorella di Shahida Raza, Sadia. “L’unico sogno di Shahida era la cura del suo bambino disabile. Ha rischiato la sua stessa vita dopo che gli ospedali in Pakistan le hanno detto che l’assistenza medica all’estero poteva essere l’unica opzione“, ha aggiunto. “Era una donna coraggiosa, forte come un uomo“, ha proseguito.

Mia sorella ha fatto curare suo figlio all’ospedale Aga Khan di Karachi. Le era stato detto che se fosse stato portato all’estero, avrebbe potuto ricevere buone cure“, racconta ancora. Secondo Sadia, la sorella si è rivolta anche al Combined Military Hospital di Quetta, che però ha detto di non poter fare nulla per suo figlio. “Quello che una madre fa per i suoi figli, nessun altro può farlo. Shahida ha sempre voluto gestire le cose da sola. Siamo orgogliosi di nostra sorella“, ha detto.

Anche un’amica di Shahida, Sumiya Mushtaq, conferma il racconto della sorella. L’atleta aveva espresso la sua preoccupazione per la salute del figlio. “L’impossibilità di essere curato dalla malattia negli ospedali locali l’ha costretta a trovare un futuro migliore per suo figlio all’estero“, ha dichiarato. La famiglia in Pakistan è ancora in attesa del rimpatrio della salma. I pakistani hanno reso omaggio a Shahida in tutto il Paese e nel suo villaggio, diffondendo in televisione e sui social fotografie di lei che indossa i colori nazionali e i riconoscimenti sportivi.

Il presidente pakistano, Arif Alvi, ha dichiarato venerdì che la tragedia di Raza lo ha “profondamente commosso” perché il Paese non è riuscito a fornire a suo figlio le cure mediche adeguate. Intervenuto a una conferenza internazionale sulla paralisi cerebrale, Alvi ha affermato che la formazione professionale degli esperti sanitari e un approccio inclusivo da parte della società sono fondamentali per accogliere le persone con disabilità.

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