Coronavirus, record di ricoveri in Calabria per i contagi nelle montagne: pazienti del cosentino trasferiti a Reggio, chiesta la zona rossa anche per Fossato Jonico

StrettoWeb

Coronavirus, il punto della situazione in Calabria: a Reggio arrivano i pazienti delle altre province, il contagio segue dinamiche naturali e geografiche colpendo le zone interne

La Calabria, che da ieri è tornata in “zona arancione”, sta vivendo il momento più delicato dall’inizio della pandemia del nuovo Coronavirus che circola sul territorio regionale da ormai oltre un anno e un mese rispetto al primo caso accertato, l’uomo rientrato a Cetraro dal lodigiano il 27 febbraio 2020. I numeri epidemiologici rimangono contenuti rispetto al resto d’Italia e d’Europa: con appena 906 morti in 14 mesi e 51.907 mila casi accertati su 2 milioni di abitanti, la Calabria è la Regione d’Europa con il più basso tasso di mortalità e la più bassa incidenza del virus sulla popolazione. Ma il boom di contagi delle ultime settimane a Cosenza sta mettendo a dura prova l’organizzazione del sistema sanitario e in base ai dati ufficiali forniti dal bollettino di ieri, lunedì 12 aprile, la Calabria ha battuto il nuovo record assoluto di ricoverati in ospedale dall’inizio della pandemia, con 511 pazienti nei nosocomi regionali, di cui 40 in terapia intensiva. Sono numeri superiori al picco di fine novembre scorso, anche se stavolta sono concentrati prevalentemente nella Provincia di Cosenza.

I 40 ricoverati in gravi condizioni sono così suddivisi nei tre hub Covid Regionali: 17 a Cosenza, 15 a Catanzaro e 8 a Reggio. Nella città dello Stretto, nonostante sia la più grande, popolosa e densamente abitata della Regione, c’è la situazione migliore tanto che il GOM, il Grande Ospedale Metropolitano, sta accogliendo pazienti dalle altre province. Domenica 11 Aprile sono arrivati 12 pazienti da fuori, quasi tutti dalla Provincia di Cosenza e soprattutto dall’area di Rossano e Corigliano, ma qualcuno anche da Lamezia Terme e dalla provincia di Crotone. Tutti i pazienti trasferiti a Reggio da fuori provincia si trovano nei reparti di degenza ordinaria: le terapie intensive di Cosenza e Catanzaro riescono ancora a reggere l’onda d’urto dei malati gravi, anche se il primario della Rianimazione del GOM Sebastiano Macheda ha offerto la disponibilità per ospitare eventuali pazienti provenienti da altre province qualora ce ne fosse la necessità.

Ai microfoni di StrettoWeb, Macheda ha spiegato la situazione dicendo che “Qui ai Riuniti al momento non siamo in affanno, riusciamo ad assorbire anche pazienti che arrivano da fuori fino al momento nei reparti ordinari e non in terapia intensiva, siamo lontani dal picco di fine novembre e la situazione del contagio è sotto controllo. In terapia intensiva abbiamo 8 ricoverati, due dovremmo dimetterli a breve perchè stanno meglio. Manteniamo alta l’attenzione con tutte le dovute misure, sperando di allentare i numeri di contagi e ricoveri. I pazienti che arrivano dal nostro territorio sono quasi tutti della provincia, in città la situazione è più tranquilla. Ci sono piccoli focolai in provincia, soprattutto sulla jonica e nell’area grecanica, ma anche nei paesi della tirrenica. Di meno in città“. Un paradosso, considerando che Reggio Calabria conta oltre 180 mila abitanti ed è il centro con la più alta densità abitativa di tutta la Regione. Ma evidentemente il contagio, come vedremo di seguito, dipende da altre dinamiche.

Il primario del reparto di malattie infettive del GOM, dott. Pino Foti, conferma il quadro fornito dal collega evidenziando come nei giorni scorsi siano arrivati numerosi pazienti anche da cliniche e strutture per anziani, ultima Villa Aurora, dove c’è stato un focolaio e i pazienti hanno avuto la necessità delle cure del GOM. “Purtroppo finchè non saranno completate le vaccinazioni di tutti gli ospiti di queste strutture sarà inevitabile, succede ovunque da oltre un anno e non è possibile risalire all’origine di questi focolai. Prima di Villa Aurora era successo al Sacro Cuore di Gesù. L’augurio che ci diamo è che con le vaccinazioni riusciremo ad alleggerire la situazione, che ci vede fronteggiare numeri comunque importanti, in base agli arrivi degli ultimi giorni sempre più vicini al picco di fine novembre“, quando il GOM aveva sfiorato i 140 ricoverati, una ventina in più rispetto a quelli di oggi che però comprendono molti arrivi dalle altre province calabresi, testimonianto lo straordinario lavoro compiuto dal commissario Iole Fantozzi e dalla sua struttura.

In Provincia di Reggio preoccupa il focolaio di Fossato Jonico, piccola frazione del comune di Montebello, dove ci sono una quarantina di positivi. Stamattina il Sindaco di Montebello ha chiesto di dichiarare la zona rossa proprio per la frazione di Fossato: sarebbe la prima di questa fase in provincia di Reggio Calabria, mentre ieri il Presidente f.f. della Regione Nino Spirlì ha dichiarato 5 nuove zone rosse nel cosentino e nel crotonese per i comuni di Acri, Altomonte, Crosia, San Giovanni in Fiore e Cutro. Ad accomunare tutti i centri colpiti dal contagio ci sono la posizione geografica e le condizioni meteo-climatiche: si tratta di zone interne, situate in territori di montagna o alta collina, lontane dal mare. La Provincia di Cosenza è la più colpita proprio per la sua natura orografica, ma anche nelle altre province sono più in sofferenza le zone interne rispetto a quelle costiere.

Anche lo scorso anno in questo periodo il contagio si sviluppava proprio nelle zone interne della Regione. In Provincia di Reggio Calabria un anno fa, a marzo, sempre a Montebello Jonico si era verificato il primo focolaio con la conseguente dichiarazione della “zona rossa” comunale. E’ sempre più evidente come l’andamento epidemiologico segua dinamiche naturali, legate alla stagionalità e alle aree geografiche, a prescindere da ogni tipo di misura adottata nel tentativo di arginare il contagio. La Calabria, infatti, è rimasta in zona gialla per 6 lunghe settimane tra febbraio e inizio marzo: erano aperti tutti i negozi, addirittura i locali della ristorazione potevano ospitare gli avventori servendoli ai tavoli fino alle ore 18:00 in pieno inverno, quindi al chiuso, e il contagio è rimasto su livelli molto bassi. Poi, da metà marzo, è scattata dapprima la zona arancione (per scelta nazionale, nonostante i parametri locali fossero ancora da zona gialla) e poi due settimane di zona rossa, in cui abbiamo avuto paradossalmente un brusco aumento di casi e ricoverati nonostante le chiusure dei locali, dei negozi e ulteriori restrizioni alla mobilità e ai contatti sociali. Per quanto questa “zona rossa” non sia certo un lockdown e rimangono aperte molte attività che giustificano i movimenti e le uscite all’aria aperta, si tratta comunque di ulteriori restrizioni rispetto alla “zona gialla” in cui erano concesse molte più libertà e c’erano molti più contatti sociali. Ma anche molti meno contagi. E’ quindi evidente che la pandemia, come sta accadendo anche a livello nazionale ed internazionale, segue il suo andamento epidemiologico naturale, stagionale e geografico, a prescindere da ogni tipo di misura adottata nel tentativo di arginarla. Lo dimostrano i dati dei Paesi che hanno deciso di non fare alcun lockdown, Svezia in primis, e hanno un tasso di mortalità enormemente inferiore rispetto a quello dell’Italia o di altri Paesi che invece hanno scelto le chiusure più rigide, e in cui il numero più alto di morti è sempre concentrato nelle zone interne, più lontane dal mare, dove ci sono i maggior sbalzi termici e un clima più umido e meno soleggiato.

Tra la seconda metà di aprile e l’inizio di maggio, proprio come lo scorso anno, assisteremo quindi a un netto miglioramento della situazione in tutt’Italia per l’arrivo di temperature stabilmente più elevate e per l’aumento delle ore di soleggiamento. Il contagio si fermerà durante i mesi estivi, anche in caso di folle e assembramenti senza mascherine come già accaduto lo scorso anno, perchè le condizioni meteo-climatiche e ambientali non consentiranno la diffusione del contagio, che però poi si riproporrà ad ottobre anche in questo caso a prescindere da ogni tipo di misura adottata o comportamento sociale, bensì in base alle condizioni naturali. Con la speranza che, stavolta, i vaccini avranno immunizzato le fasce a rischio dalle forme gravi della malattia e che quindi potremo davvero finalmente, dopo due anni, convivere con il virus che continuerà inevitabilmente a circolare, ma senza determinare un così alto numero di morti e di ricoveri se i vaccini avranno protetto le fasce a rischio, cioè gli anziani e i soggetti di tutte le età affetti da malattie croniche. I tempi della campagna vaccinale, quindi, si riveleranno fondamentali per evitare di ripiombare in questo baratro il prossimo autunno.

Condividi