
Ormai era luglio inoltrato. Le giornate erano splendide e calde. Come ogni anno i più grandicelli organizzavano le puntatine a mare, quello vero, non quello del Consorzio irriguo. La mattina alle nove riempivamo l’autobus già al capolinea, una marea di ragazzi e ragazzini. Scendevamo alla fermata del ponte del Calopinace, prima che l’autobus se ne andasse lungo via san Francesco da Paola. Attraversavamo il ponte verso sud e poi attraverso un sottopasso, scavalcavamo la linea ferroviaria. Eccoci a mare, sulla bellissima spiaggia di Calamizzi. Una siepe di “erba di vento” delimitava la spiaggia dalla strada. Rimanevamo li fino alle 17, poi ci incamminavamo verso la fermata dell’autobus, dove alle 17.20 avremmo ripreso l’autobus per fare ritorno al paese. Il mare era una festa, uno spasso, un divertimento: bagni, tuffi, torri umane, ecc.
I nostri genitori non ci davano nulla da mangiare, per evitare che facessimo il bagno durante la digestione. Ci davano solo pochi spiccioli per comprare della frutta al mercatino del sottoargine sinistro. Quel giorno mio fratello Pasquale, aveva visto delle bellissime pesche pasta bianca e ne aveva comprate due. In spiaggia quando fu ora di pranzo, tirò le due pesche dal sacchetto, si ricordò allora che a me la buccia dava fastidio. Si guardò attorno per cercare un pescatore al quale chiedere in prestito un coltello, in quel frangente tirai fuori, dalla tasca dei pantaloni, il coltellino comprato alla Graziella e glielo porsi orgoglioso. Mi guardò ed abbozzò un sorriso. Eh sì era stato un buon investimento quel coltellino.
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