Ceccato 98 – Don Mico e Nino, il cavallo

ceccato 98di Enzo Cuzzola – Don Mico aveva comprato un cavallo. Lo aveva comprato in Sicilia, in un maneggio di cavalli da corsa, lo dovevano mandare al macello, perché azzoppato, ma don Mico non aveva sopportato la notizia e lo aveva comprato. Del resto amava gli animali. A me aveva insegnato a non avere paura dei cani, grazie al boxer, col quale avevo preso confidenza, quando andammo con mia madre a far visita per la nascita della prima figlia, Carmelina.  Non sapeva cavalcarlo, del resto era troppo pesante, e difficilmente il cavallo, abituato alla leggerezza dei fantini, lo avrebbe sopportato sulla sella. Ma doveva trovare una ragione per l’acquisto, dato che tutti, compreso l’anziano padre, gli rimproveravano quella spesa inutile.  Allora aveva pensato di curarlo, del resto lo curava ed accudiva perfettamente, eccome lo accudiva, come un figlio, per poi farlo cavalcare dal nipote e farlo partecipare, nuovamente, alle competizioni, ma il nipote non sentiva ragione, anche se in suo onore, don Mico, aveva chiamato il cavallo Nino.

Allora aveva deciso di utilizzarlo per il trasporto della “bergamottella”. Infatti don Mico, faceva incetta di tutta la bergamottella della zona, per conto dei fratelli Fascì, gli unici trasformatori, in zona, che la lavorassero. Non veniva fuori una essenza molto pregiata, ma valeva comunque la pena provarci.

I contadini non dedicavano molto tempo alla raccolta della bergamottella, non ne valeva la pena, dato il prezzo insignificante che don Mico pagava. Allora diventava preda di noi ragazzini. I ripartitori di acqua, del Consorzio irriguo del Calopinace,  i compari Pepé e Demetrio Marra, ci avvisavano dove avrebbero distribuito il prezioso liquido la sera ed il giorno seguente. Bisognava darsi da fare presto, perché dopo la bergamottella sarebbe scorsa via con l’acqua. Avevamo libero accesso a tutti i giardini a condizione di non danneggiare le coltivazioni, ragion per cui prestavamo molta attenzione.

Consegnavamo il raccolto a don Mico. Lo pesava con la “statia” (stadera) dentro un sacco di iuta. Ci pagava dieci lire il chilo. Ma se il raccolto non era sufficiente per l’acquisto del gelato per tutti, allora con il mignolo spostava il peso della stadera e di colpo il raccolto diventava più pesante.

Tutti temevano don Mico, perché aveva una forza disumana, tanto da riuscire a sollevare Nino, il cavallo, con tutto il carico sulla spalla. Tutti temevano don Mico perché quando si incavolava era un pericolo pubblico. Noi no, noi gli volevamo bene e lo rispettavamo. Ci aiutava, ci proteggeva, ci tutelava ed imbrogliava se stesso, pur di offrire il gelato a tutti. Non sarebbe mai arricchito di danaro. Ma avrebbe sicuramente avuto sempre molti amici.

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