Poker e Comunisti italiani

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Poker--e-Comunisti--italiani_02Il successo che il Partito Comunista Italiano ebbe nel nostro paese, dopo la II guerra mondiale, fu notevole, pur non rientrando l’Italia nell’orbita sovietica.
E ciò anche grazie ad una capillare rete distribuita su tutto il territorio nazionale costituita da “sezioni” diffuse quasi in ogni paese e che, nelle città, poteva contare su una presenza organizzata persino a livello rionale.
Più o meno come, in ambito religioso, era la Chiesa con le sue parrocchie, ma con la differenza che i seguaci di questa si chiamavano fedeli, mentre i comunisti si compagni.
Le sezioni erano cellule molto chiuse, nel senso che di tutto ciò che accadeva al loro interno non trapelava praticamente nulla, rimanendo patrimonio degli iscritti. Nelle sezioni giungeva, attraverso le federazioni provinciali, il pensiero che veniva concepito in sede di Comitato Centrale.
Il pensiero del Comitato Centrale rappresentava il verbo e questo, per lo meno per i primi decenni del dopoguerra era ispirato direttamente dai cugini sovietici, che imposero, tra l’altro, avendone compreso le capacità di aggregazione, i tornei di poker.
C’è da dire che, come ogni altra attività interna al partito, anche il poker era rigidamente disciplinato.
Basti solo sapere che le regole adottate erano rigorosamente omologate dal Comitato Centrale del Partito.
Inoltre, sia i dealer che i direttori di sala, prima di poter esercitare il loro ruolo, dovevano avere frequentato e superato un corso specifico.
Nessuna variante era permessa se non preventivamente autorizzata.
Si narra che durante un torneo provinciale, essendosi creata una situazione di gioco inedita, che il direttore di sala non fu in grado di risolvere attraverso il regolamento esistente, egli fu costretto a sospendere l’evento per riprenderlo solo dopo avere ricevuto delucidazioni direttamente dal Segretario nazionale.
Il ruolo del Segretario Generale, infatti, era equiparabile a quello che il papa ricopriva in ambito ecclesiastico e, come il Pontefice, anche quello era ritenuto infallibile.
A conferma di ciò c’è da aggiungere che il Segretario generale, negli anni ‘50, veniva anche definito “il migliore” (titolo equivalente al termine di “Magno” che veniva dato ai papi che si erano particolarmente distinti).
A dimostrazione dell’accettazione del principio dell’infallibilità, si narra di un episodio assai singolare accaduto in occasione di un importante torneo in cui, al tavolo finale, faceva da dealer addirittura lo stesso Segretario Generale, appena rientrato da un recente viaggio in Unione Sovietica.
Accadde che questi, che era affetto da una notevole miopia, attribuì erroneamente una mano ad un tris, non avvedendosi della scala in possesso di altro giocatore.
Tra lo sconcerto del giocatore che si ritrovò ingiustamente perdente e l’incredulità generale, il direttore di sala non osò dir nulla, pensando, in cuor suo, che se il Segretario generale aveva ritenuto prendere quella decisione, ciò era stato fatto senza dubbio a ragione veduta e, con ogni probabilità si trattava di una nuova regola appresa proprio nel suo ultimo viaggio in Russia.
Conseguentemente, alla fine del torneo la Segreteria generale diffuse una circolare interna nella quale si informavano le sezioni della nuova regola, che da quel momento fu rigorosamente applicata per i mesi successivi.
Però alcuni dirigenti di partito, che tuttavia nutrivano qualche piccolo dubbio sull’argomento e preoccupati dei possibili risvolti negativi in ambito internazionale, sia pur con notevole apprensione e con molta cautela, presero la coraggiosa decisione di informare della circostanza il Segretario, il quale cadde dalle nuvole e impose di porre immediatamente rimedio all’equivoco.
E così fece prontamente diffondere il seguente messaggio: “Compagni, contrordine: la scala vale più del tris”.
E nelle sezioni si riprese a giocare come prima.

Saverio Spinelli

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