Poker e Fascismo

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Poker-e-FascismoIn Italia, negli anni ‘30, a cura del Partito Nazionale Fascista, fu pubblicato un libro dal titolo “Vademecum dello stile fascista”.

In esso venivano descritti lo stile e le norme di vita cui dovevano attenersi i veri fascisti.

Tra i vari punti presi in esame, spicca lo sdegno verso tutti quei soggetti che “allo sport preferiscono il poker”.

Da ciò s’intuisce come il Fascismo abbia avuto con il poker un rapporto decisamente conflittuale e molto ambiguo.

Infatti, se da una parte esso era ufficialmente rigettato, giacché ritenuto americano e quindi nemico, dall’altra era tuttavia praticato (come, peraltro accadeva in tante altri contesti).

Ufficialmente il regime preferiva che gli Italiani giocassero a scopa, briscola e tressette, ma, di fatto, anche i suoi gerarchi organizzavano tornei di poker, appena ne avevano l’occasione, naturalmente senza farne pubblicità.

Fu proprio in quelle circostanze che tra i vari gerarchi, avanguardisti e giovani fascisti, nacque l’abitudine oggi, spesso ancora in vigore, di esultare alla vincita di un testa a testa, come se si fosse arrivati per primi alla Maratona.

Il Duce per la verità non capiva molto di poker, certamente non per mancanza di capacità, bensì perché utilizzava il suo tempo, oltre che per le normali attività di governo, che lo vedevano coinvolto a palazzo Venezia fino tarda ora, anche in tanti altri e ben più meritori esercizi, che il suo multiforme ingegno e la sua virile prestanza gli consentivano, come andare a cavallo, guidare gli aerei, mietere il grano e soddisfare donne procaci.

Ciò nonostante, il Duce decise di tollerare il gioco, ma ad alcune condizioni, che furono diramate a tutti i militanti superiori del partito e che di seguito si riportano:

I giocatori:

  1.  Dovevano indossare unicamente la camicia nera;
  2.  Sia prima di prendere posto, sia quando vincevano un piatto e sia quando uscivano da un tavolo, dovevano fare il saluto romano (si calcola che in un torneo multitavolo della durata di circa dieci ore si contavano fino a 4/5000 saluti romani);
  3. Dovevano utilizzare unicamente la terminologia in lingua italiana, come da direttive sulla purezza della lingua diramate dal Minculpop (Ministero della cultura popolare);
  4. Dovevano esultare unicamente con frasi tipiche dalla tradizione fascista;
  5. Dovevano stare seduti tenendo le spalle erette;
  6. Non dovevano mai dire “ho perso”; perché un fascista non perde mai, per definizione, bensì l’espressione da pronunciare era “esco dal torneo”.

A proposito delle direttive sulla purezza della lingua, queste ebbero, nel poker, dei curiosi effetti.

Infatti, per espressa volontà del Duce, furono cambiati del tutto alcuni termini: il poker si chiamò quadriglia ed il full (traducendo alla lettera l’inglese full house) invece casa piena; anche il tris, che sapeva di straniero, diventò triglio.

Saverio Spinelli

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