Sclerosi multipla: uno “score” made in Catania individua i pazienti da trattare con angioplastica

  • Restringimento favorevole della vena giugulare interna destra
  • Veroux Giacquinta
/
StrettoWeb

Uno studio dimostra l’efficacia del sistema “Giaquinta grading system” realizzato dal team di ricercatori della Chirurgia Vascolare del “Policlinico” di Catania

L’angioplastica dilatativa delle vene giugulari nei pazienti affetti da sclerosi multipla – una malattia che colpisce 3 milioni di persone nel mondo, 600 mila in Europa e 122 mila in Italia, soprattutto donne, risulta efficace se utilizzata in pazienti con criteri morfologici ed emodinamici selezionati e accurati.

È quanto sostiene lo studio realizzato da ricercatori degli atenei di Ferrara e Catania pubblicato nei giorni scorsi sulla rivista internazionale “Journal of Endovascular Therapy” e che si basa sul “Giaquinta grading system”, il sistema messo a punto da un team di ricercatori dell’Unità operativa complessa di Chirurgia Vascolare del “Policlinico” di Catania, guidata dal prof. Pierfrancesco Veroux.

Il “Giaquinta grading system” – classificazione pubblicata, in uno studio del 2017, sulla prestigiosa rivista statunitense “Journal of Vascular Surgery, Venous and Lymphatic disorders” e che prende il nome dalla ricercatrice del team dell’Università di Catania Alessia Giaquinta – è stato utilizzato per la prima volta nella ricerca “Brave Dreams” e ad oggi rappresenta l’unico score al mondo validato per determinare una selezione corretta dei pazienti da trattare con angioplastica.

Restringimento favorevole della vena giugulare interna destra

Lo studio clinico “Brave Dreams”, pubblicato nel 2018 su “JAMA Neurology”, concludeva che “l’angioplastica delle vene giugulari è una tecnica sicura ma largamente inefficace, pertanto tale trattamento (procedura) non può essere raccomandato ai pazienti con sclerosi multipla”. Alla luce del fatto che nello studio “Brave Dreams” non era stato fatto alcun confronto tra pervietà del vaso trattato e risultato clinico atteso, risulta evidente che se una procedura non è efficace nel mantenere correttamente aperto un vaso e nel modificare le condizioni patologiche pre trattamento, nessun risultato clinico può determinarsi.

Nel nuovo studio si è quindi proceduto alla rivalutazione, utilizzando una metodologia rigorosa e in “doppio cieco”, delle flebografie dei pazienti arruolati nel Brave Dreams. Una Commissione esterna ha visionato indipendentemente i filmati delle procedure e applicando il “Giaquinta Grading System” è stata in grado di distinguere due categorie di pazienti: ‘favorevoli’ e ‘sfavorevoli’.

I pazienti “favorevoli” hanno presentato un carico lesionale cerebrale significativamente più basso rispetto ai pazienti “sfavorevoli”, dimostrando per la prima volta una connessione tra migliorato flusso venoso dal cervello verso il cuore e la diminuzione di nuove lesioni cerebrali ad un anno dall’intervento di angioplastica.

Veroux Giacquinta

Il 22 novembre scorso il prof. Paolo Zamboni, ordinario di Chirurgia vascolare dell’Università di Ferrara, ha presentato al 46° Veith Symposium, congresso mondiale di Chirurgia vascolare che si svolge ogni anno a New York, i dati relativi alla seconda fase dello studio “Brave Dreams” che dimostrano come l’angioplastica delle vene giugulari, sebbene non rappresenti la panacea per tutti i pazienti affetti da sclerosi multipla, quando è utilizzata con una precisa e favorevole indicazione risulta efficace e la possibilità di rimanere liberi da nuove lesioni cerebrali risulta significativamente aumentata.

“Per la prima volta – aggiunge il prof. Veroux – siamo riusciti ad individuare in quali pazienti l’angioplastica dilatativa riesce a migliorare in maniera significativa il flusso venoso dal cervello verso il cuore, che rappresenta il presupposto indispensabile per migliorare la perfusione cerebrale e permettere un risultato clinico significativo. Abbiamo anche documentato in quali pazienti l’angioplastica è una procedura che non modifica la pervietà delle vene trattate, risultando così una procedura da non raccomandare. Adesso l’obiettivo è instaurare un approccio e una collaborazione interdisciplinare, similmente come accade per altre devastanti patologie quali l’Ictus ischemico o il diabete, al fine di fronteggiare una malattia così debilitante che colpisce tanti nostri giovani pazienti“.

Condividi