Reggio Calabria: gran finale di Ecojazz a Pellaro con “I suoni dell’urlo del tramonto sul Mediterraneo” [FOTO]

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StrettoWeb

Conclusione in gran stile per la ventiseiesima edizione di Ecojazz. Ieri al calar del sole, l’urlo liberatorio “del Tramonto sul Mediterraneo”, un richiamo alla libertà e alla bellezza

EcoJazz 7 serata (3)Si è conclusa la ventiseiesima edizione di Ecojazz. Un’unica lunghissima giornata scandita da sette eventi iniziati con l’alba della Torre Nervi e terminati al tramonto della Loggia di Pellaro passando per l’arena all’aperto di Ecolandia. Un viaggio che è rimbalzato dal centro alle periferie in un unico grande abbraccio a tutta la città. Ieri, al sole che scendeva oltre i monti peloritani, Giovanni Laganà e i diciassette scalmanati tamburi di Luca Scorziello abbarbicati sulla Loggia, lo sperone di roccia che domina Pellaro e la sua baia, hanno affidato “l’urlo del Tramonto sul Mediterraneo” per suggellare nella forza della natura l’eco di un evento che vuole travalicare i confini angusti della città e proiettarsi verso l’Africa e le Americhe ricordando quanti artisti provenienti da quei continenti hanno aderito con entusiasmo al progetto di Laganà teso a “salvare il mondo con la bellezza”. Richiami di libertà, di rabbia e di lotta per non arrendersi alle brutture che ci circondano, per reagire all’appiattimento e all’apatia.

L’urlo dei tamburi di Luca Scorziello sono stati colpi di cannone sparati assieme ai seguaci più affezionati del festival internazionale che si sono inerpicati sulla colina per seguire la band in una performance che definire suggestiva è riduttivo. Tutto il contesto era in sintonia con l’ensemble con lo sguardo che abbracciava tutta la città e lo Stretto di Messina. Man mano che il sole scendeva e si accendevano le luci per strada la magia evolveva e il ritmo dei tamburi guidati dal menestrello dagli occhiali color verde brillante si adattava.

EcoJazz 7 serata (5)Su tutto prevaleva un richiamo ricorrente: “Obadayé”, il nome fittizio di un bimbo africano il cui sguardo ha incrociato quello di Luca Scorziello. Quel nome, Scorziello, immagina che venga ripetuto ogni volta che un bimbo incrocia gente dello stesso colore e in mezzo ai migranti cerca la sua famiglia. Non è disperazione ma desiderio di vita quello cantato, o meglio, urlato dai “tamburi pazzi”. C’è ammirazione per il popolo dalla pelle scura che affronta con grande dignità sia le avversità naturali come le prove umane inenarrabili. A loro Scorziello ha dedicato i suoi suoni alzando le bacchette del tamburo come incruente armi da guerra, innalzate non contro qualcuno ma per il sostegno di questi nuovi martiri del terzo millennio.

Lo spettacolo ha generato una commozione palpabile a cui Giovanni Laganà non ha saputo resistere. Intorno a lui si è stretto l’affetto di amici e sostenitori: “restiamo umani!” gli ha gridato una di loro e lui ha annuito con gli occhi lucidi. Anche questo è Ecojazz: una contaminazione di sentimenti che unisce musicisti e spettatori e li rende tutti protagonisti del medesimo spettacolo invisibile agli occhi ma visibile al cuore.

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