Ineguaglianza nazionale: il Sud

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Il territorio nazionale presenta divari rilevanti e persistenti, espressi, soprattutto, da un Mezzogiorno che continua ad essere, malgrado qualche fugace segnale positivo, l’area più estesa dell’euro, contrassegnata da una pesante arretratezza. L’ultimo rapporto dell’Istat fotografa, con chiara efficacia, tale situazione, richiamando la necessità di una svolta come il punto più qualificante del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. In tale contesto, al Sud viene dedicata una priorità trasversale per cui vengono impegnati in esso il 40% delle risorse disponibili atte a finanziare riforme ed interventi, per ridurre gli inaccettabili divari di cittadinanza.

Più in dettaglio, il rapporto elenca dieci obiettivi, partendo dalle attuali carenze che vanno da un reddito pro-capite pari a circa al 55-58% del Centro Nord, ad un livello di istruzione arretrato, anche se in via di miglioramento presso le giovani generazioni, alla ripresa delle migrazioni di massa, ad un processo di digitalizzazione nel quale il Mezzogiorno non ha recuperato il gap di partenza, alla obsolescenza delle reti idriche che registrano perdite per circa la metà dell’acqua ad uso civile, ad una dotazione di infrastrutture di trasporto nettamente inferiore ad altri ripartizioni, all’autcome dell’istruzione, rappresentata dalle competenze degli studenti che risultano inferiori alla capacità di apprendimento di altre parti del territorio, ai servizi per l’infanzia e sanitari non certo a livello di un Paese evoluto. I punti elencati rappresentano criticità che causano i ben noti ritardi, alimentando i rischi di un eccessivo e non reversibile impoverimento demografico.

Possiamo dire, senza voler essere drammatici, che per il Mezzogiorno siamo all’ultima chiama. Le migliori menti economiche e del mondo sociale sono impegnate nella ricerca di soluzioni, partendo da un dato di fatto: politiche economiche poco efficaci se non sbagliate portano all’accentuazione delle divergenze e ad uno sviluppo disomogeneo, che si traduce in concentrazioni di efficienza e ricchezza, a forte orientamento internazionale, che convivono nel Paese con aree di crescente povertà ed emarginazione.

Le proposte per un cambiamento di rotta non mancano, come la concentrazione di attenzione su 4 cantieri del Pnrr, che vanno dall’istruzione e formazione, agli investimenti infrastrutturali nell’energia, nei trasporti e nella logistica, all’innovazione del tessuto industriale, alla transizione verde del sistema produttivo. Agire secondo queste direttrici dovrebbe favorire un notevole alleggerimento di problemi che Pierluigi Ciocca individua nelle tre I: ineguaglianza, instabilità ed inquinamento, che vanno risolti contestualmente, anche e soprattutto indirizzandosi verso modelli di produzione e consumo decisamente più sostenibili. Ciocca ha una visione generale, macro, con riferimento ai territori afflitti da diseguaglianza. Possiamo proiettare questa indicazione al nostro Sud, senza sbagliare, arricchendo il contesto, come fa Carlo Borromeo, con la necessità di una lotta alla mafia, all’usura, alla rivalutazione delle periferie, potenziando gli investimenti nel sociale, facendo rete con il terzo settore ed i territori.

Come si vede l’elenco delle cose da fare è lungo. Ci insegna la storia, dal dopo guerra ad oggi, che il tutto rischia di vanificarsi nel campo del libro dei sogni e sperdersi nei meandri di strumentali velleità politiche. Mi culla una speranza: che la classe politica abbia piena consapevolezza di una tale situazione ed assuma, nell’interesse del Paese e del Sud, decisioni coraggiose, prescindendo dalle convenienze elettorali, ed individuando quelle priorità, che inserite in una chiara strategia, possano garantire un più avanzato e diffuso processo di crescita.

Debbo dire che la speranza vacilla quando vedo l’impegno politico assorbito, oggi, a tracciare le linee di un federalismo e di un’autonomia differenziata territoriale. Questo avviene quando il Paese, uscito stremato dal Covid e sotto l’incubo di una guerra alle porte, avrebbe bisogno di concentrarsi sulle reali esigenze del Paese, come il Sud, cercando, in un tempo accettabile, di superarne lke relative emergenze. In questa azione, forse, non sarebbe male riprendere vecchie esperienze che, checché se ne dica, hanno dato, soprattutto in certi periodi, validi contributi alla crescita del Paese, ed alla riduzione dei divari territoriali. Mi riferisco alla Cassa per il Mezzogiorno, quella buona, del primo periodo, a guida del Presidente Pescatore ed all’IRI che, con le sue partecipate, ha dato, soprattutto in alcuni settori, indirizzi e sostegno allo sviluppo. Questa rivisitazione, senza sapere di nostalgia del tempo passato, potrebbe essere la base di un orientamento politico efficace, mosso da modelli che sono stati di successo, e visti come tali anche all’estero.

Tale cultura potrebbe arricchire il dibattito nell’autonomia differenziata, con strumenti attraverso i quali si può sostenere efficacemente il Sud, alleggerendo, se non cancellando le preoccupanti ipotesi di “spaccatura” del Paese che vengono oggi paventate.

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