Il piano industriale RFI: una grande delusione per la Sicilia

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Sicilia: il Piano Industriale 2022-2031 prevede per l’Isola un investimento di 20 miliardi di euro, a fronte di 190 complessivi su tutto il territorio nazionale

Il Piano Industriale 2022-2031 prevede per la Sicilia un investimento di 20 miliardi di euro, a fronte di 190 complessivi su tutto il territorio nazionale. Sembrerebbero tanti, e sembrerebbe la volta buona per dotare finalmente l’isola di un sistema ferroviario degno degli anni duemila. Ma, a leggere attentamente le previsioni del piano, si rimane delusi, e parecchio. Innanzitutto va detto che 9,3 dei 20 miliardi saranno spesi sul nuovo collegamento veloce Palermo-Catania-Messina, che, lungi dall’essere una linea ad alta velocità, garantirà comunque netti miglioramenti nelle relazioni tra i tre capoluoghi e nell’area interna della Sicilia. Non prima, però del 2030, stando ai cronoprogrammi ufficiali. Il Piano prevede inoltre al suo interno interventi che pensavamo conclusi, o che avrebbero dovuto esserlo da tempo: ci riferiamo al nodo di Palermo (passante e anello), a quello di Catania e il potenziamento del collegamento aeroporto Fontanarossa. In realtà, rimane molto da fare, dato che sul Passante rimangono, a tutt’oggi, 6,5 km a binario unico, e per giunta nella tratta più frequentata: quella che attraversa il dentro cittadino da Orleans a San Lorenzo, passando per la centralissima stazione Notarbartolo. L’apertura di questa tratta non avverrà prima del 2024. Per l’anello, a cui manca la “chiusura” dal Politeama alla stessa Notarbartolo occorrerà attendere almeno il 2025, se tutto va bene.

Il nodo di Catania è ancora in fase di progettazione, mentre potrebbe andare presto in attuazione la mastodontica operazione di spostamento della linea in corrispondenza del prolungamento della pista aeroportuale di Fontanarossa; la quale, come si può immaginare, serve molto più all’aeroporto che al potenziamento delle ferrovie. Rimangono in programma gli interventi relativi al ripristino ed elettrificazione della linea Palermo-Trapani via Milo, la Caltagirone-Gela, il bypass di Augusta, il potenziamento della linea Palermo-Agrigento-Porto Empedocle, il collegamento con l’aeroporto di Trapani Birgi. E basta. Non si può comprendere il disappunto di chi legge se non si esaminano brevemente, uno per uno, questi interventi. Si scopre infatti che il ripristino della Palermo-Trapani avverrà, a conti fatti, nel 2025, ovvero a 12 anni esatti dalle frane che ne hanno interrotto il tracciato. E che consiste in una riattivazione della linea in sede, curve comprese, che non consentirà di elevare più di tanto la velocità della linea, fissata con gli standard dei tempi della sua costruzione, durante il ventennio fascista. Destino analogo alla Caltagirone-Gela, che aspetta dal 2011 la ricostruzione di un ponte crollato nei pressi di Niscemi, ed i cui ruderi stanno ancora li a dimostrare quanto i nostri governanti tengano al trasporto ferroviario.

Sulla Palermo-Agrigento la “riqualificazione” potrebbe far pensare a chissà quali interventi di adeguamento della linea e delle sue strutture ottocentesche, ma consiste soltanto nella realizzazione di due fermate nei pressi della città di Pirandello. Il quale, evidentemente, deve aver ispirato coloro che hanno concepito il collegamento ferroviario dell’aeroporto di Trapani Birgi: ben 40 milioni per fare arrivare il treno all’interno di uno scalo che, a malapena, conta 1 milione di passeggeri/anno. E che già dalle prime sedute di conferenza dei servizi ha raccolto le perplessità degli stessi responsabili dell’aeroporto, alle prese con le previste varianti di tracciato ferroviario incompatibili con lo stesso esercizio aeroportuale o riconducibili ad un’improbabile stazione”di testa”: tutti i treni da Trapani a Marsala avrebbero dovuto far scalo in questa stazione per poi ripartire, dopo alcuni minuti, in senso opposto. Una follia, tanto da convincere gli enti coinvolti a preferire, semplicemente, una nuova fermata sulla linea esistente con collegamento bus , magari elettrico, all’aerostazione.

Sarà invece interessante assistere alla reazione degli abitanti di Augusta quando si renderanno conto che RFI vuole spostare la loro stazione ferroviaria all’interno del by-pass di cui sopra, a circa 3 km dal centro cittadino. Forse si consoleranno pensando che ciò dovrebbe agevolare il collegamento del porto alla ferrovia… Ma dovrebbero tralasciare un dettaglio: tale porto potrebbe consentire efficacemente lo scarico di containers dalle navi verso terra, su ferrovia, soltanto se esistesse un collegamento stabile con il continente. Ma per quello ci vorrebbe il Ponte sullo Stretto, del quale, ovviamente, non c’è traccia nel piano industriale, e ci mancherebbe altro: se neanche il PNRR ha smosso le enormi resistenze politiche alla sua realizzazione, figuriamoci se può essere preso in considerazione dal gruppo FS. “Meglio pensare prima ai collegamenti locali” direbbero i tanti benaltristi no-ponte: ed eccoli serviti.

Nulla si prevede, nel Piao industriale FS per la Alcamo-Castelvetrano-Trapani e per la Siracusa -Gela-Canicattì, linee “locali” che rimangono a trazione diesel su binario unico. E che dal 12 giugno scorso sono oggetto di chiusure al traffico commerciale, a più riprese. Una, che riguarda l’intera tratta da Cinisi a Castelvetrano, e che si protrarrà fino a settembre, si rende necessaria per impermeabilizzare il fondo di una galleria. Lavori di straordinaria manutenzione, come quelli eseguiti tre anni sulla Palermo-Messina, all’interno della galleria di capo Calavà, che causarono la chiusura della linea siciliana più trafficata per tutta la stagione estiva. Lo stesso periodo che ha visto chiusa al traffico, l’anno scorso, la Catania-Siracusa,: in quel caso ad essere impermeabilizzato è stato un ponte, quello di Castelluccio, nei pressi di Agnone.

Nessuno, fra i tecnici RFI ed Italferr (struttura tecnica di RFI), sembra si sia chiesto se non fosse il caso di dismetterle, queste opere d’arte, dopo 150 anni di onorata carriera; il fatto che tali strutture siano ubicate ai lati opposti della Sicilia la dice lunga sulle condizioni strutturali della rete siciliana. Dove, se si fossero completati i raddoppi, previsti su entrambe le linee costiere fino a una decina di anni fa, il problema si sarebbe agevolmente risolto, almeno in questi tracciati. Ma, purtroppo, il Piano Industriale RFI conferma la cancellazione di questi raddoppi, sia sulla Catania–Siracusa che sulla Palermo-Messina, nonostante sia da sempre, quest’ultima, la linea ferroviaria più trafficata dell’isola.

Una volta che il corridoio TEN-T è stato spostato al centro della Sicilia (il tracciato Messina-Catania-Palermo di cui abbiamo accennato in premessa), su queste linee è prevista soltanto la “velocizzazione”, che in termini comprensibili agli umani significa semplicemente la manutenzione straordinaria dell’armamento. Non il rifacimento, o la dismissione, di ponti e gallerie realizzati in muratura ai tempi del cucco: strutture che, ovviamente, necessitano di continui interventi: una volta per essere impermeabilizzate, un’altra per qualche crollo o distacco di muratura, per deformazioni fisiologicamente intervenuti in esercizio, cedimenti fondazioni, etc etc.

Il buon senso, se non altro, ci dice che sarebbe stato un buon affare, economicamente parlando, investire su queste linee le somme necessarie per un radicale riammodernamento, evitando uno stillicidio di interventi che presentano non soltanto un alto costo intrinseco, per le difficilissime lavorazioni da realizzare, ma anche un costo incalcolabile per le ricadute negative sulle spalle di un’utenza già parecchio sconfortata dal servizio ferroviario, che si ritroverà per un’intera stagione a viaggiare in pullman. Turisti compresi, con buona pace di chi considera sempre più importante il ruolo turistico delle ferrovie, formulando offerte come i vari Cefalù o Taormina line, che fortunatamente non interessano le linee chiuse per lavori. Dimenticando nel contempo i tanti residenti che, nonostante le gravi condizioni socio-economiche, continuano a lavorare muovendosi stoicamente in treno.

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