Il mondo ricorda Kobe Bryant, a Reggio Calabria nessuna traccia: il silenzioso oblio della cultura | FOTO

A 3 anni dalla sua scomparsa, il mondo ricorda Kobe Bryant, Reggio Calabria resta in silenzio: in città solo al PalaCalafiore un riferimento alla memoria del Black Mamba la cui storia è partita proprio in riva allo Stretto

  • Kobe Bryant
    Foto di Etienne Laurent / Ansa
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StrettoWeb

Ci sono momenti, nella vita di ognuno di noi, in grado di lasciare un segno. Qualcosa di talmente forte al punto di ritagliarsi uno spazio fra i ricordi, belli o brutti che siano. Chiunque ricorda cosa stesse facendo nel momento esatto in cui la tv passava, per la prima volta, l’immagine dell’attentato alle Torri Gemelle nel 2001. Allo stesso modo, gli appassionati di basket e chiunque lo abbia apprezzato come persona ricordano il momento in cui hanno appreso la notizia della morte di Kobe Bryant.

I primi frammenti di notizie dagli USA, il tam-tam social, le chat impazzite. L’incredulità iniziale, la speranza che si trattasse di una fake news, la tristezza nel constatare che fosse tutto vero. Sono passati tre anni da quel 26 gennaio 2020, il giorno in cui Kobe Bryant e la figlia Gigi persero la vita in un tragico incidente in elicottero. In questi 3 anni il mondo ha attraversato cambiamenti inimmaginabili, ma non ha mai dimenticato il sorriso del campione dei Lakers e della figlia, ritratti spesso insieme in immagini che tolgono il fiato ancora oggi.

E non si tratta solo di sport. Kobe Bryant è una di quelle figure che va oltre la pallacanestro, l’NBA, gli Stati Uniti. Kobe è cultura del lavoro, spirito di sacrificio, accesa ma genuina competizione. La sua “Mamba Mentality” è filosofia applicata allo disciplina sportiva, ma basata su punti cardine tranquillamente applicabili alla vita di tutti i giorni:

  • passione
  • ossessione per i dettagli
  • fame di competizione
  • resilienza
  • capacità di affrontare le proprie paure

La maglia numero 24 dei Lakers è iconica tanto quanto la 23 dei Bulls di Jordan o la 10 di Maradona. Parliamo di un campione in grado di lasciare un segno: 5 anelli con i Lakers, 1 titolo di MVP della regular season e 2 delle Finals, 11 volte All-NBA First Team, 9 All-Defensive First Team, 18 volte All-Star, 2 Ori Olimpici. Milioni i fan distribuiti in tutto il globo per una carriera e una vita che hanno attraversato anche l’Italia e, incredibilmente, hanno mosso i primi passi a Reggio Calabria.

Insieme a papa Joe, cestista della Viola nel 1986, il piccolo Kobe, ribattezzato “fagiolino” a causa del suo secondo nome (Bean), giocava sul parquet reggino, viveva la città insieme agli amichetti, masticava qualche parola di dialetto. Anni che ha sempre portato nel cuore come tutta la sua esperienza in Italia: Kobe parlava italiano fluentemente, aveva fatto suoi gli usi e i costumi italiani (andava matto per pasta e pizza, ma non quelle americane!), tornava spesso in vacanza, le sue figlie hanno nomi italiani (Gianna Maria-Onore, Natalia Diamante, Bianka Bella, Capri).

Eppure la storia dell’esperienza di Kobe a Reggio Calabria è ancora sconosciuta a molti, particolarmente ai più giovani e tanti ne hanno avuto notizia proprio dopo il tragico incidente. Il motivo? A Reggio Calabria, di Kobe Bryant non c’è traccia. Chi lo ha conosciuto non può dimenticarselo, alcune testimonianze reggine sono presenti anche nello splendido documentario “Kobe – Una storia italiana” prodotto da Prime Video. E chi non ha avuto il piacere di incrociare la sua vita personalmente? Chi ha potuto ammirarlo solo in tv? I più giovani che possono solo permettersi qualche highlight su YouTube? Come possono venire a sapere che Reggio Calabria è legata alla figura di una leggenda dello sport mondiale?

Dai giorni successivi al tragico incidente non si contano più le iniziative in omaggio alla memoria del grande campione dei Lakers: murales, statue, targhe, intitolazioni di vie, piazze in tutto il mondo. Italia compresa: Reggio Emilia lo ha eletto ‘Reggiano forever’ dedicandogli una piazza e un museo; nella piccola Cireglio (frazione di Pistoia) è presente un murale; a Napoli addirittura un pazzesco playground che porta il nome di “Kobe Memorial Park”. Giusto per citare 3 esempi nostrani. E a Reggio Calabria? Il nulla, o quasi.

L’unica testimonianza è custodita dentro il PalaCalafiore, uno stendardo che ne omaggia la memoria, visibile solo a quelle poche centinaia di persone che, a domeniche alterne, riempiono il palazzetto per le gare della Pallacanestro Viola. Qualcuno che non lo frequenta abitualmente se n’è accorto, anni dopo, nel momento in cui la struttura è tornata a ospitare le prove dei concorsi post pandemia. La società neroarancio, che oggi lo ha ricordato con un post da brividi, si era fatta promotrice della richiesta di intitolazione di una via o una piazza alla figura di Kobe, affinchè ci fosse qualcosa di pubblico, di tangibile, che ne testimoniasse la presenza in città. Un appello caduto nel nulla.

Una reazione indifferente per una città che rinnova la propria toponomastica, che tributa il proprio sentito ricordo a poeti, letterati e figure di tempi ormai passati, ma che sembra dimenticarsi di un pezzo importante della sua storia recente. Si tratta forse di classismo: la storia sportiva conta di meno di quella scritta sui libri? Parliamo di cultura, nell’accezione più bella del termine, quella che fa riferimento al patrimonio personale che forma l’identità di ognuno di noi. Non è un caso che a Reggio Calabria, piazza storica della pallacanestro, la passione per il basket stia morendo in un silenzioso oblio e si dice che manchi proprio “la cultura” sportiva.

Come per Kobe, di Manu Ginobili (lui ancora vivo e vegeto) non c’è alcuna traccia in città, eppure il campione argentino visto in riva allo Stretto dal 1998 al 2000, ha ringraziato la Viola e Reggio Calabria in mondovisione nel suo discorso di introduzione nella Hall of Fame NBA. La stessa dolce attenzione che Vanessa Bryant, moglie del compianto Kobe, ha riservato alla città portando in visita le figlie nel luogo “in cui papà viveva da bambino”, il tutto documentato sul proprio profilo social che vanta oltre 15 milioni di follower.

Oggi la Pallacanestro Viola si trova in Serie B, a lottare fra le difficoltà (economiche e non) di una categoria che non le appartiene, sempre meno ragazzi si appassionano alla Pallacanestro, l’immenso e bellissimo PalaCalafiore resta semivuoto anche nelle gare più importanti. Ci lamentiamo dell’assenza di una cultura, ma non facciamo nulla per crearla, a partire proprio dalle piccole cose.

Un playground all’aperto in cui giocare gratuitamente, magari sul Lungomare con vista sullo Stretto, come negli USA. Una statua, un murale, una targa, una via, una piazza dedicata a Kobe e una anche a Ginobili. Qualcosa che vista con gli occhi di un bambino possa scatenare la curiosità e accendere la fiammella di una passione che si porteranno dentro per sempre. Passione: non a caso, il primo dei comandamenti della Mamba Mentality.

Kobe Bryant(

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