Cosa rende così buono il Parmigiano Reggiano? Renatino, lo sfruttamento e la polemica di chi non sorride al “cheese”

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Bufera sul nuovo spot televisivo del Parmigiano Reggiano: Renatino sfruttato 365 giorni l’anno per dare quel gusto in più che rende unico il formaggio. I social insorgono

Sniff sniff”: lo sentite anche voi questo, inconfondibile, odore di polemica? Questa volta con una decisa sfumatura di formaggio. Tv e social continuano il loro rapporto di amore e odio: la prima regala argomenti, i secondi generano il ‘contenuto’. Alla fine cambiano i tempi e i modi, ma quel certo languorino che solo la critica può soddisfare, non passa mai di moda. Questa volta a finire sotto accusa è una delle più grandi eccellenze culinarie italiane, il mitico Parmigiano Reggiano, formaggio a pasta dura che almeno una volta ogni italiano ha assaggiato nella sua vita. Eppure la sua bontà non lo ha messo a riparo dalle polemiche. Tutta colpa di un ingrediente particolare.

Nel Parmigiano Reggiano c’è solo latte, sale e caglio. Nient’altro. Nel siero ci sono i batteri lattici. L’unico additivo è Renatino, che lavora qui da quando aveva 18 anni, tutti i giorni. 365 giorni l’anno”. Le parole sono di Stefano Fresi, recitate nell’ultimo spot mandato in onda dall’azienda. La scena è la seguente. Un gruppo di giovani, guidati dall’attore romano, fa visita ad una delle fabbriche in cui si produce il formaggio. Al termine del dialogo precedente, viene introdotta la figura di Renatino, instancabile lavoratore che con soddisfazione impiega ogni giorno della sua vita per rendere il Parmigiano così buono. I ragazzi, a turno, si stupiscono che si possa lavorare così tanto, Renatino, lì da quando aveva 18 anni, sorride e risponde “si” a chi gli chiede se è soddisfatto di ciò che fa.

Si può essere soddisfatti di lavorare 365 giorni l’anno? Questo l’argomento delle critiche social più feroci. “E’ una pubblicità, un’opera di finzione – ha spiegato Fresi con un messaggio social – e quando ‘Renatino’, che non si chiama così nella vita, racconta di essere felice di non andare a Parigi e di non vedere mai il mare perché lavora 365 giorni al Parmigiano Reggiano, è una cosa che serve allo sceneggiatore per magnificare il prodotto. Perché reagire in questo modo ad una opera di finzione? Si può dire che è brutta, che è bella, ma non farne una lotta di classe, di politica, di diritto del lavoro, di sfruttamento dei lavoratori, perché non è un documentario, è una finzione. E’ una pubblicità che deve vendere un prodotto, tutto qua. Non credo siano stati fatti dei torti ai lavoratori facendo questo spot pubblicitario”. L’attore ha centrato il punto. È proprio lo spot il problema.

La pubblicità in questione è la fiera dei clichè che il pubblico attuale ormai ha imparato a riconoscere e rigettare. La scena strizza l’occhio alle commedie professore-alunni, con Fresi che spiega ai giovani in 10 secondi i processi di lavorazione del parmigiano, sintetizzandoli in “ci sono 3 ingredienti” e i ragazzi lo ascoltano rapiti, probabilmente dalla parola “caglio”, la meno comune della frase. Successivamente, in un clima da “Attimo Fuggente”, la versione romana di Robbie Williams snocciola la morale: le cose buone si ottengono solo con semplicità e facendosi il mazzo, 365 giorni l’anno. Renatino, lo stereotipo del dipendente tutto cuore e olio di gomito, con il nomignolo incollato da quando è entrato in fabbrica nonostante oggi abbia 40 anni e nessuna voglia di essere disturbato da quella pseudo gita scolastica, non riesce nemmeno a parlare. È palesemente la base del meme “lavorare in fabbrica non è per nulla pesante: lo afferma Renatino, 18 anni“. Si limita a dire un “sì” rimasto fra i denti alla battuta dell’unica ragazza nera del gruppo, perché in qualche modo serviva buttare dentro un po’ di “minoranza etnica” (nel gruppo che già presenta la bella, il figo, il nerd…), che serve solo a sottolineare, ancora una volta, quanto il buon Renatino provi felicità a lavorare 365 giorni l’anno.

Nei secondi finali la scena si sposta in una sorta di campeggio, tutti intorno al Parmigiano, in cui una delle ragazze afferma di “sentire l’amore che ci mette Renatino” e il comico di turno risponde “e il mio di amore? Chi lo sente?”. Nessuno dei presenti ride. Il climax del cringe. Ogni prodotto si presta a un giudizio, funziona così, è fin troppo facile far passare per ‘rompicoglioni’ chiunque muova una critica. Se la pubblicità ha il pretesto di rappresentare una scena di vita quotidiana, non può essere la fiera del clichè e dei luoghi comuni che danno, al contrario, l’effetto di stare assistendo a qualcosa di artefatto. Far passare il messaggio che Renatino lavori 365 giorni l’anno col sorriso sulle labbra, perchè è un uomo d’altri tempi, mentre i giovani, da sempre ed evidentemente nullafacenti, si stupiscono di tutto ciò arrivando a idolatrarlo (“il meglio!”), è il vero errore.

Di Renatino ce ne sono tanti e non hanno un’età precisa, non hanno un nomignolo e non tutti lavorano con il sorriso sulle labbra. Al giorno d’oggi ci sono migliaia di giovani che accettano di fare il Renatino perchè non hanno altra scelta, mentre altri decidono che fare il Renatino non è la loro ambizione, senza correre il rischio di passare per ‘bamboccioni’. Si stupisce che ci siano persone che lavorano ogni giorno (o quasi) delle loro vite solo chi non ha mai avuto a che fare con determinate realtà. E non sono i giovani. La protesta social nasce anche da loro, quelli con la polemica facile, la generazione selfie ma che alla parola “cheese”, se fa rima con clichè, non sorride più.

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