Il fastidio di pensare – La sconfitta ex cathedra

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Ora che i fumi e le euforie dello spoglio si sono diradati confessiamo che una grande curiosità ci ha assalito: potere assistere a qualcuna delle lezioni di politica che Enrico Letta tiene nel prestigioso istituto parigino di studi politici dove egli sembra godere di grande autorità. Dopo essere stato uno scialbo Presidente del Consiglio malamente spodestato da fuoco amico, l’illustre uomo politico era infine tornato richiamato dai vertici di un partito rimasto improvvisamente orfano di una guida e non riusciva a nascondere un certo desiderio di rivincita, o di vendetta magari, nei confronti di chi, dopo averlo defenestrato, dopo fugaci fasti si era lasciato infine alle spalle un cumulo di macerie e un disastro (come lui amava sottolineare, non nascondendo una certa soddisfazione) a cui dovere rimediare. Ma il tempo, che è crudele con le speranze degli uomini nudi, è stato impietoso: anche la sua gestione si è rivelata disastrosa e un nuovo cumulo di macerie è dietro anche le sue spalle. Il compito che si assumeva, intendiamoci, non era semplice, ma non è tanto la sconfitta  quanto il modo in cui è avvenuta che fa riflettere. Certe battaglie vanno combattute con passione e intelligenza, e quando ci si è battuti a testa alta e con la coscienza di avere fatto tutto quello che si poteva e si doveva, allora anche perdere non è alla fine disonorevole. Ma in realtà proprio tutto questo è sembrato mancare nella campagna del Partito Democratico, che è sembrata sotto ogni aspetto sciagurata e viziata fin dall’inizio da scelte sciocche e una straordinaria miopia politica.

Tutto è mancato nella battaglia del Partito Democratico: sia una banale strategia politica, con il percorrere oltranzisticamente e in maniera stupidamente orgogliosa una strada che non portava da nessuna parte e l’abbandono di chi poteva essere un alleato valido per legarsi a chi lo avrebbe affossato; sia almeno una condotta etica, che avrebbe almeno dato alla sua sconfitta il decoro della pulizia morale in mezzo a tanto squallore, mentre invece le stesse miserie degli avversari hanno contraddistinto il comportamento di chi si pretendeva superiore, riempiendo le liste di riciclati, trasformisti e, per non farsi mancare niente, anche inquisiti. Si perde, infine, senza neanche avere mostrato una chiara identità, ma identificandosi non per quello che si è, ma per quello che non sono gli altri, un votate me per non votare gli altri. Un essere ciò che gli altri non sono che sembra una banalità e invece è diventata il centro di una campagna per elemosinare voti.

E, alla fine, venuti a sbattere malamente contro il muro, non si è neanche riusciti a riconoscere onestamente i propri errori, ma si è cominciato a incolpare gli altri, e si è visto nei voti presi un certo successo. Che è certo un cospicuo bagaglio che ne fa la prima forza d’opposizione, ma in realtà in quel carniere non è altro che quel limite ideologico sotto il quale, per quanti errori faccia, quel partito difficilmente scenderà, formato da quegli elettori che al di là di tutto ad ogni elezione si presenteranno davanti all’urna e coprendosi gli occhi e forse anche il naso metteranno una croce su quel simbolo uscendo poi dal seggio con la coscienza un po’ più libera e convinti di avere fatto il loro piccolo dovere nei confronti della Repubblica. Quegli uomini Renzi o Letta o qualunque altro disastroso segretario non potrà perderli e rappresentano quella quota che non è un successo ma, appunto, un minimo storico disastroso che per altri partiti sarebbe una conquista ma qui è solo un punto di partenza.

C’è da pensare che chi abbia spinto la nave a  infrangersi ancora una volta sugli scogli fosse un povero principiante che giocava, come dice Cacciari, a briscola credendo di giocare a scopone. E che quindi dietro una simile mancanza di intelligenza politica ci fosse solo un povero malcapitato nel posto e nel momento sbagliato e cercasse di raccapezzarsi alla meno peggio in cose più grandi di lui. Ma veniamo a scoprire che è invece un illustre docente di una illustrissima università che si occupa espressamente di studi politici. E adesso quindi, per l’appunto, ci è venuta una curiosità morbosa di ascoltare qualche sua lezione per scoprire cosa mai potrebbe insegnare in codesta università un uomo che, messo alla prova, si lascia dietro questo cumulo di macerie che di peggio sarebbe stato difficile fare. Dice una vecchia frase che chi le cose le sa fare non ha tempo di insegnarle, soprattutto con certi mestieri. Questo è il motivo per cui molti illustri politici poterono dedicarsi a scrivere memorie o a tenere qualche lezione solo dopo che il loro ritiro dall’agone. Letta invece, dopo che per il vile attacco di Renzi aveva avuto tutto il tempo di mostrare agli studenti parigini la sua scienza politica, adesso dopo avere mostrato il suo valore come segretario di partito, crediamo presto potrà riprendere la sua cattedra per un nuovo, lunghissimo ciclo di lezioni, crediamo fino alla pensione. Non lo disturberà più nessuno, neanche in questo paese di antica cultura politica autolesionista.

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