Se il problema adesso è che Giorgia “parla da capo partito”…

Giorgia Meloni, il caso 41-bis e le surreali accuse del Pd

StrettoWeb

Adesso il problema è diventato che Giorgia Meloni “parla da capo partito“. Come se fosse una novità, o un’anomalia o soprattutto un problema. E invece menomale che Giorgia Meloni parla da capo partito! E’ capo partito e proprio in funzione di capo partito deve comportarsi, da regole base della democrazia. E’ certamente anche Presidente del Consiglio, ma lo è solo ed esclusivamente in funzione del suo essere capo partito. Come tutti gli altri premier delle democrazie mondiali. Ed esattamente come loro, parla da capo partito e continuerà a farlo con buona pace di tutti.

Il caso 41-bis e le polemiche

Ieri Meloni è intervenuta per la prima volta sul caso Donzelli-Delmastro con una lettera al Corriere della Sera in cui ha difeso gli esponenti del suo partito e evidenziato le contraddizioni del Partito Democratico, che quando era al Governo usava toni molto più pesanti contro l’opposizione della stessa Meloni. Nel merito della questione, poi, il premier ha evidenziato la gravità della posizione del Pd rispetto al 41-bis dopo la visita in carcere al terrorista anarchico Alfredo Cospito e l’ambiguità sul tema del carcere duro. Apriti cielo. Lo stesso Partito Democratico ha risposto con un’altra lettera in cui accusa Meloni, appunto, di parlare da “capo di partito“, dimenticando che il premier è appunto anche capo di partito e che parlare da capo di partito, per un premier, non è un’accusa ma una scontata banalità. Qualsiasi premier del mondo – infatti – parla anche da capo di partito.

I premier in democrazia

E’ il caso di Macron in Francia, Scholz in Germania, Sánchez in Spagna, Sunak nel Regno Unito: tutti i Presidenti delle altre principali democrazie europee sono anche leader del loro partito e quotidianamente parlano da capo partito. Un’ovvietà democratica che forse nel Pd hanno dimenticato: loro, effettivamente, considerano il ruolo di premier incompatibile con quello di capo partito se è vero – come è vero – che hanno fatto premier Letta quando il capo del partito era Bersani, e poi hanno fatto premier Conte quando il capo del partito era Zingaretti, e poi hanno fatto premier Draghi quando il capo del partito era Letta. L’unica eccezione è stata quella di Renzi, che ha provato a fare il premier da capo del Pd e infatti alla fine dal Pd è dovuto scappare.

Eppure anche Renzi da premier e segretario del Pd parlava eccome da capo partito. Esattamente come Berlusconi nei suoi 8 anni di governo del Paese. Persino Zelenskyj è il presidente dell’Ucraina perchè è leader del partito da lui stesso fondato, lo stesso percorso di Giorgia Meloni. E proprio come Giorgia Meloni, parla prima da leader di partito che da premier perchè è premier solo ed esclusivamente in funzione del fatto di essere leader del partito che ha ottenuto il mandato elettorale dal popolo. Sarebbe molto grave, al contrario, se i premier non parlassero da leader di partito: è successo in Italia per 11 lunghi anni tra 2011 e 2022 e abbiamo visto com’è andata. In quegli anni non c’è mai stato nel Paese un governo direttamente eletto dal popolo, e ad alternarsi alla guida del Paese sono stati o tecnici scelti nelle stanze del potere o politici che mai si erano candidati di fronte agli elettori e che venivano scelti nelle stanze dei partiti. Quasi sempre con la regia dello stesso Pd, che evidentemente preferisce questi metodi aristocratici – pur previsti dalla Costituzione più di 75 anni fa – a quelli più direttamente democratici e certamente più moderni che pensavamo di aver superato con il sistema maggioritario che si era imposto con la Seconda Repubblica.

La polemica gratuita su Donzelli e Delmastro e i fatti

In fondo Donzelli e Delmastro non hanno fatto altro rispetto a ciò che è nelle loro corde. Sono esponenti politici e da politici si comportano. Esattamente come tutti gli altri politici, dal Pd al M5S, che pur con importanti incarichi istituzionali e governativi, negli scorsi anni non le  hanno certo risparmiate alle varie opposizioni di Meloni e Salvini accusati delle peggiori nefandezze. Ma lì nessuno aveva fatto tutto questo caos: è il linguaggio della politica, nessuno si è mai scandalizzato. Il Pd, invece, dovrebbe davvero spiegare perchè tre suoi così autorevoli esponenti sono andati a trovare Cospito in prigione, perchè uno di loro continua ad insistere sulla necessità di abolire il 41-bis anche dopo tutte le evidenze sulla convergenza di interessi tra terroristi di estrema sinistra e boss mafiosi. La vera anomalia di questa triste vicenda non è certo nei toni di Donzelli e Delmastro, quanto nel senso istituzionale che il Pd sembra aver perso già dopo appena tre mesi di opposizione.

In sintesi

Donzelli e Delmastro potevano risparmiarsela? Certamente sì.
Ma hanno fatto davvero qualcosa di così grave? Assolutamente no.
Allora hanno forse detto delle bugie? Affatto: era tutto vero.
E quindi hanno detto qualcosa che era segreto? Per nulla: un’inchiesta del Ministero ha confermato non hanno violato alcuna norma.
E Giorgia Meloni da premier deve essere “super partes? Ma quando mai.

La richiesta delle dimissioni

Stona ulteriormente rispetto a questa situazione che i partiti dell’opposizione chiedano nientepopodimeno che le dimissioni di Delmastro e Donzelli, colpevoli di aver fatto i politici e contestato ciò che ritengono errato dei loro avversari, nel pieno rispetto delle regole democratiche. A chiederne le dimissioni, però, sono esattamente quei partiti che negli ultimi anni hanno ignorato le ben più forti e pressanti richieste di dimissioni che non un avversario, ma in massa il popolo italiano chiedeva nei confronti delle più controverse figure presentate al governo del Paese, vedi Speranza alla Salute, Di Maio agli Esteri, Toninelli alle Infrastrutture, Bonafede alla Giustizia, Azzolina all’Istruzione e compagnia bella. Alla fine li hanno mandati a casa gli italiani, ma loro ancora dopo più di 100 giorni non riescono a farsene una ragione.

Tutto e il contrario di tutto

L’aspetto più divertente di tutta questa storia è che fino a tre giorni fa, Meloni veniva accusata di trasformismo e ipocrisia perchè dopo la vittoria delle elezioni era “cambiata”, si era “istituzionalizzata”, come se fosse una colpa fare il premier quando è stata eletta premier dopo che aveva fatto l’opposizione quando era all’opposizione. E adesso, invece, dopo tre giorni il problema è che è ancora faziosa, di parte, “parla da capo partito“. Eppure dalle parti del Pd possono soltanto abituarsi: l’era dei tecnici al governo è finita, Meloni è premier in qualità di capo partito, è premier di un Governo politico e parlerà da capo di partito per tutto il tempo che sarà premier. Esattamente come hanno fatto in Italia prima di lei Renzi e Berlusconi, o come fanno tutti i premier in tutte le altre democrazie del mondo.

La clamorosa gaffe di Calenda e il vero problema di Meloni

A proposito di leader, Calenda è andato in televisione e ha detto che Putin qualora vincesse in Ucraina attaccherebbe subito la NATO colpendo Kaliningrad, Transnistria e  Moldavia. Peccato che nessuna di queste aree fa lontanamente parte della NATO, anzi nel primo caso è Russia riconosciuta a tutti gli effetti, nel secondo caso un territorio conteso ma militarmente già controllato dalla Russia da molto tempo, nel terzo caso (la Moldavia), è una situazione esattamente come quella dell’Ucraina, cioè uno Stato sovrano che però non solo non è membro Nato ma non fa parte neanche della UE, proprio per la sua storia, cultura e tradizione molto più legata a quella russa rispetto a quella occidentale. Sulla clamorosa gaffe di Calenda, assurto a maestrino di tutti gli altri politicanti su un piedistallo auto costruito, non c’è stata alcuna bufera nonostante la gravità degli errori e anche del teorema catastrofista sulle intenzioni di Putin. Ed è questo il vero problema di Giorgia Meloni, che sulla questione Ucraina è completamente allineata alle posizioni dell’opposizione di centristi e Pd. Eppure, nessuno riesce ancora a spiegare dopo un anno dall’invasione russa, come questa crisi possa mai finire senza una vittoria della Russia. E nessuno si pone il problema delle radici storiche e culturali di un conflitto tra due popoli che nulla ha a che vedere con una fantomatica intenzione della Russia di invadere il resto del mondo. C’è un problema locale e c’è una psicofobica isteria già vista con il Covid: se è la paura a guidare le scelte di chi governa, non siamo messi bene. Immaginiamo se quando noi occidentali siamo andati a fare le guerre in Libia, Afghanistan o Iraq i loro vicini di casa si fossero mobilitati a difendere gli invasi dagli invasori perchè “altrimenti se la NATO vince lì, poi attaccherà anche noi“. Nessuno lo ha fatto. E tutte quelle guerre sono finite con la vittoria del più potente invasore.

Meloni non può continuare a rimanere passiva di fronte al problema dell’Ucraina, una crisi che può soltanto peggiorare e ingigantirsi. Non è affatto vero che il prezzo del gas è crollato grazie al price cap: è sceso momentaneamente per basilari regole di mercato: dopo l’aumento dovuto alla corsa agli stoccaggi abbiamo visto il crollo dovuto da un lato all’inverno eccezionalmente mite e dall’altro al crollo dei consumi a sua volta provocato proprio dal precedente aumento dei prezzi. E’ economia base, primo anno di università e forse anche liceo. Ed è lapalissiano che il problema si ripresenterà ancora in vista della prossima stagione: non lo abbiamo risolto e non lo potremo risolvere a breve nell’illusione di aver scelto la pace rispetto ai condizionatori. E invece abbiamo perso entrambi: la guerra continua sempre più feroce e la crisi energetica non finirà. E su questa tragica eredità lasciata dai “migliori” guidati da Mario Draghi questo il Governo, oltre che alle solite misure-tampone, non è riuscito e non sta riuscendo a dare risposte strutturali.

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