I Diarchi “rifondatori”

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L’ultima immagine pubblica che ricordavamo di Enrico Letta era quella del ‘triste’ passaggio della campanella a Renzi, lo spodestatore.

Ora siamo lieti di averlo visto sorridente, anzi scompisciato dalle risate, mentre presenta un suo alleato formidabile, Schwarzenegger, l’eroe ‘terminator’ che aggiusta anche le gambe storte dei cani, cioè del PD. Siamo lieti soprattutto perché Letta è la prova vivente dell’efficacia del ‘Programma Erasmus’: in Francia, a Parigi, ha imparato anche l’umorismo!

Però, dobbiamo ammetterlo, da quando è tornato da Parigi per assumere la carica di segretario del Partito Democratico, Letta ha mostrato una forte inclinazione alla monomania: non parla d’altro che di donne; e dobbiamo ammettere anche che quello di Letta è un ‘umorismo’ un po’ fuori luogo perché, come da lui stesso riconosciuto, ci sarebbe bisogno di un nuovo PD piuttosto che di uno rabberciato dalle protesi femminili che egli ha imposto ai vertici istituzionali del partito (capigruppo parlamentari, vicesegretaria, etc.).

Ma sarà Letta il nuovo ‘demiurgo’, il fondatore, il rinnovatore? Qual è il suo progetto? Chi ne è al corrente, chi lo ha condiviso e approvato? Le quattro parole che egli ha declamato nell’assemblea, on line e plaudente senza dibattito, non solo non ci dicono nulla di nuovo (anzi sanno d’antico, di sloganismo populista e conformista) ma ci fanno pure temere che il rinnovamento, più che nel partito, Letta lo stia cercando in se stesso: vuole apparire diverso, meno grigio, appunto più sorridente, più à la page, parigino, ecumenico ma, anche, di sinistra; va in televisione e, a chi gli chiede perché abbia accettato la carica offertagli dai pretoriani del suo partito, risponde: «Chi me l’ha fatto fare? Alla fine me l’hanno fatto fare i giovani con cui ho vissuto in questi ultimi anni. Mi sono posto il problema di cambiare la politica italiana e fare in modo che il nostro possa tornare ad essere un paese per giovani».

Dunque il Pd deve essere il partito dei giovani; e i vecchi dove li mettiamo? Ma il giovanilismo non era l’insegna di ben altro movimento filosofico-politico: giovinezza, giovinezza?

È per questo motivo che letta indossa un vestiario giovanile, per esempio la felpa con qualche scribacchiatura? No, per questo c’è un motivo più serio: Letta – il giorno precedente alla decisione del GUP di Palermo che ha rinviato Salvini a giudizio per il caso Open arms – è andato in giro indossando una felpa con la scritta Open arms e questa mascherata serviva a mobilitare tutti gli eserciti della ‘sinistra progressista’ secondo la strategia descritta da Palamara: «Salvini è innocente ma va fermato».

Egli si ritrova a gestire un partito che, solo tre mesi fa, era, e forse continua ad essere, disposto a consegnare la democrazia al duo Lonardo-Mastella piuttosto che alle urne; ma Letta, nello sforzo immane di amalgamare gli eredi di parte del PCI/PDS/DS e di parte della DC/PPI/Margherita dandogli sembianze tali da consentirgli un più largo consenso, continua a inseguire l’illusione, che è stata di molti suoi predecessori, di un ‘partito nuovo’, un ‘partito diverso’– una volta perché rivoluzionario, una volta perché ‘moralmente’ superiore, oggi perché è un partito di ‘giovani’ (di sardine?).

Ma le formulette (femminismo, giovanilismo, ecologismo, europeismo) o la bella, vuota, retorica – «Mi viene in mente la frase di Papa Francesco che dice che vorrebbe un mondo che sia un abbraccio fra giovani e anziani. Da solo nessuno si salva. Ce lo ha detto il Papa», oppure: «Noi del PD siamo per il primato della scienza, lo rivendichiamo con orgoglio. L’immagine è quella di Sergio Mattarella … La sua foto in fila che si vaccina è l’immagine della speranza» – giovano poco a dare sostanza alla diversità: ciò che conta è il programma concreto.

All’Assemblea del partito – che lo ha eletto quasi all’unanimità ed è più o meno la stessa che lo aveva spodestato con la stessa unanimità – Letta ha fatto un discorso pieno di buone intenzioni procedurali ma vuoto di programmi sostanziali, salvo la sparata sullo ius soli e sul voto ai sedicenni, e che evita i veri nodi che stringono il Paese. Un discorso il cui valore qualcuno ha misurato dalla reazione che suscita nelle destre, infuriate specialmente per lo ius soli: qualcuno ha detto che il ‘comincia male’ sentenziato da Salvini confermi che «quel discorso è stato veramente progressista, un buon inizio per un partito che di centro-sinistra era rimasto solo sulla carta e che ora deve riconquistare un’anima». Delrio ha detto addirittura di essere rimasto colpito «dalla solidità e forza» di un tale sermone, accolto dal plauso di tutti i giornali regimentati, mentre altri parlano di un «partito plurale, un’unione di minoranze» aperto a quanti (immagino che parlino dei 5S, sempre nel mirino del PD come possibile lebensraum) «si confronteranno nell’agorà democratica».

Dunque non è solo Letta ma tutto il campo progressista ad accontentarsi di così poco riguardo ai progetti politici per il futuro, del tutto vuoti di capitoli importanti come quello della soluzione dei problemi economico-strutturali (dal debito pubblico alla riforma fiscale, all’immigrazione e all’arretratezza di intere aree del paese, al Recovery Plan) e politico-costituzionali (dalla giustizia – es.: ‘prescrizione’, CSM, etc. – alle autonomie e alla burocrazia).

Quando Letta formò il suo governo, nel 2013, Paul Krugman – premio Nobel per l’economia – disse «L’Italia è un casino. Sì, ora ha un primo ministro, ma le probabilità di una seria riforma economica sono minime. È tutto negativo». La sua conclusione fu allora che, a salvare l’Italia, non sarebbero state le politiche di Letta – che infatti non esistevano – ma solo la BCE di Mario Draghi e fu profetico perché questi non aveva ancora lanciato il suo ‘quantitative easing’. Ora, purtroppo, si potrebbe dire la stessa cosa della condizione attuale del nostro Paese, ma con una differenza: Letta è soltanto segretario di un partito erratico e Draghi è al governo ma non sappiamo più se sarà lui a salvare l’Italia, se sarà in grado di fare quelle politiche necessarie a farla uscire dalla sua arretratezza e dalla profonda crisi economico-pandemica perché, anche se egli avesse chiaro il da farsi, deve misurarsi con una maggioranza che di unitario ha poco o niente e che, comunque, gli farebbe fare ben poco di ciò che si dovrebbe fare.

Ora – visto che Letta, sulla scia di Zingaretti e Bettini, aspira a risuscitare la politica delle ‘coalizioni’ guidate dal PD e a condividere le sue idee con Conte e Di Maio per piantare il suo ulivo sul terreno ‘fecondo’ dei 5S – veniamo al secondo diarca, Giuseppe Conte.

L’ex premier, cooptato da Grillo come ‘co-elevato’ e nuovo ‘capo’ dei 5S, in questa veste ha iniziato il suo discorso all’assemblea dei 5 S – finalmente tornata in streaming – dicendo che il Movimento può essere orgoglioso per avere «scritto pagine importanti della più recente storia politica italiana … [che] gli errori commessi e le ingenuità a cui vi siete esposti non hanno oscurato».

L’abilità dialettica, avvocatesca, di Conte qui è stata usata tutta per dimostrare che, insomma, gli errori e le ingenuità sono del Movimento ma non di chi, per esso, ha guidato il governo e che, invece, le ardite riforme sono anche, e principalmente, di un siffatto leader: «il reddito di cittadinanza, la riduzione del numero dei parlamentari, l’anticorruzione, l’eco-bonus, la lotta all’evasione e al recupero del sommerso anche attraverso l’incremento dei pagamenti digitali, e tantissime altre … una importante svolta nel percorso europeo … per tutelare la salute dei cittadini e proteggere il nostro tessuto sociale e produttivo; anzi …  renderlo ancora più resiliente».

Tutto ciò, a suo avviso, ha reso «l’Italia più moderna, più verde e vivibile, più giusta e solidale … [con] una carica innovativa rispetto al sistema politico italiano, una forza d’urto così potente da contaminare anche altre forze politiche [il PD, che ne è rimasto abbagliato] … scacciando via sacche di privilegio, espressione … della mala-politica».

Ed è questo che ha permesso a Conte di trovare la strada sicura per la rifondazione dei 5S; che, insomma, gli ha consentito di accettare, a ‘occhi aperti’, la carica offertagli ora da Grillo diversamente da quando aveva accettato, a ‘occhi chiusi’, quella di Presidente del Consiglio. Ma ciò che è più toccante di questo discorso di Conte è il passaggio sulla fine del suo governo: egli non ha più tentennato quando ha avuto «chiara la modalità della mia uscita da Palazzo Chigi … non era possibile volgere le spalle alle sofferenze degli italiani; era urgente favorire la nascita di un nuovo governo … porre fine a una crisi … provocata in modo irresponsabile nel pieno di una pandemia e di una gravissima recessione economica».

Detta così, sembrerebbe che la sua uscita sia stata un gesto di generosità per non far gravare sul Paese l’irresponsabilità dei ministri renziani; ciò che non dice è che egli prima andò, senza fortuna, alla ricerca dei ‘costruttori’ e che le ‘sofferenze degli italiani’ furono causate dal suo governo.

Sarebbe assai comodo e al tempo stesso riduttivo dire che buona parte del resto del suo discorso potrebbe andare benissimo in un dizionario della lingua italiana perché dedicato a spiegare i vari significati del verbo ‘rifondare’: una doverosa ricerca linguistica necessaria per ‘Rifondare il Movimento5Stelle’: ‘Rifondare’ anzitutto non significa «restyling marketing politico … un rinnovo superficiale al fine di incrementare il consenso … significa puntare, tutti insieme, a compiere una coraggiosa opera di rigenerazione del Movimento, che non rinneghi il passato e i valori che vi hanno portato sin qui … e sia capace di interpretare una nuova stagione politica e proiettare il neo-Movimento in una dimensione strategica, che lo renda laboratorio privilegiato di idee e progetti diretti a elaborare e a realizzare un nuovo modello di sviluppo che punti non più solo a indici di crescita … ma a una nozione ampia e incisiva di ‘prosperità’. Un modello di sviluppo … di benessere equo e sostenibile per tutti … che declini la transizione energetica e digitale già in atto … ridurre le tante diseguaglianze che sacrificano gli interessi dei più vulnerabili e fragili, delle donne, dei giovani, dei vari Sud del Paese».

La citazione è lunga e chiediamo venia ma non se ne poteva fare a meno perché si tratta di concetti che segnano un passo avanti importante del pensiero politico, soprattutto per quella invenzione del laboratorio privilegiato (qual è il privilegio? Quello di avere Conte come direttore?) che dovrebbe produrre quelle idee – che oggi non ci sono e che il vecchio M5S evidentemente non aveva – per «indicare una rotta con cui tutte le forze politiche, le migliori energie civili e culturali dovranno misurarsi. Vedo una forza politica che esprimerà una forza irradiante non solo sul piano interno ma anche europeo e internazionale, capace di coinvolgere altre forze politiche e movimenti culturali che, a tutte le latitudini del mondo, abbiano interesse a condividere un’agenda politica profondamente intrisa di una cultura integralmente ecologica e di giustizia sociale, particolarmente attenta all’anticorruzione e all’etica pubblica, per offrire un destino migliore alla nostra generazione e alle generazioni future».

Il nuovo sole dell’avvenire.

E, ancora, Conte ci offre una interminabile serie di diritti ben oltre le nuove quattro libertà di Roosevelt: «Riscriveremo insieme i diritti dei lavoratori, fermi allo Statuto del 1970 … Scriveremo insieme, per la prima volta, una Carta dei diritti degli imprenditori … Finiremo di scrivere insieme la Carta delle persone con disabilità … Scriveremo insieme un catalogo di diritti digitali … Aggiorneremo il catalogo dei diritti dei consumatori … Parteciperemo con convinzione al percorso comune europeo. Evitando l’atteggiamento passivo di chi dice sempre… [scriveremo] la nuova agenda europea non più solo [per] un’economia sociale di mercato ma di economia eco-sociale di mercato».

Spezzeremo le reni alla Grecia. No, scusate, questo non c’entra!

Un progetto ambizioso, non c’è dubbio, e, trattandosi di un laboratorio, siamo sicuri che userà dei mezzi migliori offerti dalla scienza: preferibilmente dal ‘materialismo scientifico’ visto che il neo-movimento dovrà collocarsi nel campo aperto della sinistra. Gli auguriamo di avere il successo – e ci sono tutte le premesse – che hanno avuto i laboratori delle industrie farmaceutiche nella ricerca e produzione del vaccino anticovid: infatti, il laboratorio di Conte non parte da zero come invece è toccato fare per i vaccini; in poche settimane dall’investitura, egli si è portato avanti con il lavoro e, da vero demiurgo, ha elaborato proposte e stabilito due punti fermi sui quali avviare la ricerca: «1) Dobbiamo condividere una proposta politica solida, matura, coraggiosa, lungimirante, che indichi una chiara identità politica; 2) Dobbiamo dotare il neo-Movimento di un principio di razionalità organizzativa [finora mancante], in modo da rendere più efficace … l’iniziativa politica, più coinvolgente il dialogo con le articolazioni territoriali e … con la società civile».

Sarà un movimento accogliente e intransigente, con una ‘Carta dei principi e dei valori’: a. rispetto della persona; b. ecologia integrale; c. giustizia sociale; d. principio democratico; e. rispetto della legalità; f. importanza dell’etica pubblica; h. importanza della cittadinanza attiva.

Come si vede, Conte ha tracciato il solco e non ha dovuto nemmeno faticare molto perché ha ricalcato quello fatto da secoli e pieno di aria fritta. Sarebbe toppo lungo riportare le specifiche di ciascuno di questi punti ma non possiamo evitare di dire quali siano le misure fin qui da lui divisate per salvare dal naufragio il carattere distintivo, l’anima stessa di questo Movimento: la democrazia diretta.

Conte ha infatti dato il meglio di sé proprio su questo punto; in sostanza, egli dice, «la crisi del modello tradizionale della cittadinanza democratica, fondato sul principio rappresentativo, ci spinge a introdurre misure per migliorare la qualità del sistema rappresentativo, ma anche per rafforzare gli istituti di democrazia diretta, attraverso i quali i cittadini sono direttamente coinvolti nell’assunzione delle decisioni … La democrazia digitale … rimarrà un punto fermo anche del neo-Movimento». Ma egli pone anche un problema: «la democrazia digitale è frutto di una tecnologia che non è ‘neutra’; chi governa i processi, chi possiede e gestisce i dati, attraverso quali modalità; sono tutte operazioni sensibili e delicate, che richiedono … trasparenza e chiarezza».

Non è un bell’italiano ma vale la pena di riportare il passo così com’è: è una zampata da avvocato, il cavillo contro le pretese pecuniarie di Casaleggio e per farlo fuori dal Movimento: ‘Rousseau’ non serve più, è troppo costoso. Mi permetto di suggerire che sarebbe meglio passare ai cinesi che offrono una piattaforma 5g più moderna e, forse, gratis.

Come al solito, Conte ha dato un colpo al cerchio e uno alla botte ma qui se l’è cercata perché tutti abbiamo visto come funzioni la democrazia diretta all’interno del Movimento; infatti, il migliore esempio di «‘piazze delle idee’, di cittadinanza attiva, di ‘attivismo civico’, di ‘inclusione sociale’ di tutti i cittadini» si è avuto nella stessa procedura con la quale Conte è stato scelto quale capo politico: un intenso dibattito nell’agorà, seguito dal voto dei presenti. A cose fatte, Conte ora vuole anche il ‘plebiscito’ sul web: naturalmente come candidato unico.

In conclusione, il fatto che il messaggio di Letta/Schwarzenegger e il decalogo di Conte siano pervenuti nel giorno del ‘pesce d’aprile’ non ci consola: sembrano uno scherzo ma non volevano esserlo.

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