La Rivolta di Reggio 50 anni dopo, le parole di Giuseppe Reale: “questa città non è mai stata fascista, quell’etichetta è stato un alibi per chi ha commesso un’ingiustizia”

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La Rivolta di Reggio Calabria e Giuseppe Reale, il testo della prefazione allo storico volume “Buio a Reggio”

Giuseppe Reale è stato uno dei più autorevoli esponenti politici di Reggio Calabria nel secolo scorso: deceduto tra gli onori della città il 16 maggio 2010 alla veneranda età di 92 anni, persona coltissima e autentico intellettuale, è stato Sindaco per otto mesi nel 1993 dopo l’arresto di Agatino Licandro e prima di Italo Falcomatà, a conclusione una lunga carriera politica da deputato della Democrazia Cristiana, in parlamento ininterrottamente dal 1958 fino al 1976. Molto vicino agli ambienti cattolici, Reggio Calabria gli deve la nascita dell’Università Mediterranea, dell’Accademia di Belle Arti, dell’Università per Stranieri e dell’Aeroporto Tito Minniti, che prima era soltanto militare. Europeista convinto, editore della rivista “Parallelo 38”, è sempre stato vicino alla sua città per cui ha combattuto anche contro il governo guidato dal suo partito in occasione dello scippo del Capoluogo nel 1970. Partecipò attivamente alla Rivolta, facendo uno sciopero della fame.

Nel gennaio 1972 ha pubblicato un libro straordinario, composto da quasi 900 pagine in 4 volumi con numerose ristampe (quella originale è ormai introvabile): “Buio a Reggio“, scritto dal giornalista Luigi Malafarina con Franco Bruno e Santo Strati, che ancora oggi dopo 50 anni resta il più prezioso documento che racconta con attenzione ai particolari e ricostruzioni precise e dettagliate di quei giorni drammatici, testimoniando quanto accaduto davvero a Reggio Calabria prima, durante e dopo la Rivolta che ha segnato la storia della città.

Pubblichiamo integralmente l’introduzione del volume, che Reale ha voluto scrivere in prima persona:

Questo libro è stato scritto da uomini che vivono a Reggio, che hanno assistito con trepida angoscia alle lunghe infiammate vicende della Città.
Gli autori – un giornalista, due giovani studenti universitari – hanno raccolto con amorosa pazienza, con ricerca costante, documenti e testimonianze, dichiarazioni e corrispondenze, una messe di elementi che è parsa debba poter giovare alla causa che oggi più interessa: il ristabilimento della verità.
In materia è da dire subito che le attese di Reggio, perchè fosse riconosciuta città capoluogo della Regione Calabria, potevano, in principio, anche essere discutibili; ma, appunto per questo, era doveroso discuterle; per offrire, se ce ne fossero stati, argomenti geografici, sociali, politici, economici. Si è preferito invece tacere e ci si è accorti troppo tardi dell’irreparabile, quando la vicenda era pervenuta a tal punto di drammaticità da non poter più soccorrere alcun compromesso. Cioè, si è sviluppato a Reggio, in luogo del dialogo democratico, un rigore che a volte ha rasentato i limiti della ferocia, rigore di repressione poliziesca, di distorsione di avvenimenti, di contraffazione nelle informazioni: cose tutte che hanno fatto insorgere la popolazione, si direbbe più che verso il suo obiettivo, contro il malcostume che è apparso incontrollabile. 
Chi ha avvertito in alto l’assurdità e l’ingiustizia di tanta deprecabile condotta ha poi cercato, quasi per irreparabile pudore, un alibi che ha messo precipitosamente in orbita appiccicando la comoda etichetta di fascista allo sdegno di Reggio che fascista non è mai stata. A questo modo, la congiura dei potenti si è caparbiamente consumata sulle attese. Ma nessuno può consumare la verità che è anche signora della parola. 
La parola ora si fa, scarnificata, ridotta ai fatti, perchè le persone siano informate, anche le più lontane, le persone dal sentire onesto e dall’operare retto, quelle che all’utile particolare o di gruppo sanno anteporre i valori irrinunciabili della giustizia vera e della libertà autentica. 
Reggio combatte sul fronte dei tempi lunghi. Sta pagando, dopo la prova, col moto emigratorio in crescendo dei suoi figli minori; con i molti suoi cittadini, giovanissimi la maggior parte, condannati alla galera o rimandati a giudizio; con l’economia che sempre più non ha sostegno; coi tanti modi che l’avversione politica e clientelare sa escogitare. Paga la Città, coerente con se stessa, le conseguenze di quanto la sua classe politica le ha doverosamente suggerito, anche se alcuni rappresentanti che nella vigilia parlavano un linguaggio di fierezza e di dignità, quando non di ribellione, cammin facendo, si sono rifugiati nel silenzio, ovattati da motivazione di potere. La Città, si diceva, sta pagando, ma ciò non toglie che abbia deposto il proposito e l’azione. 
Per altre vie, aspettando che mutino gli uomini e le circostanze, imprevedibile sempre, sa una sola cosa: che il tempo, galantuomo qual è, è dalla sua parte; e che con aderenza piena al reale, somma di esperienze passate e di aspettative future, dovrà, quando che sia, operarsi giustizia perchè la vita è di tutti, né alcuno, col polverone, fosse anche delle industrializzazioni, può cassare patrimoni interi di generazioni. 
Opinare che tutto quanto è successo è da ascriversi a ragioni di campanile o, come è stato scritto, di pennacchio, mentre di converso non è parso pennacchio il battersi per la causa opposta, significa adagiarsi nel conformismo della pigrizia mentale o, per pochi, essere in mala fede. A confutare la quale o a scrollarsi da quella, non c’è, a conti fatti, che il soccorso della coscienza ben informata. 
Sul piano formale non pare venga accolta la richiesta della costituzione di una commissione parlamentare di indagine: l’opporvisi, è da presumere, giova a più d’uno, non certamente a coloro che a gran voce l’hanno invocata. Quindi ci si chiede: come fare per dire che si è trattato di proposito precostituito ed inconsulto teso ad emarginare la Città? D’altro lato come è possibile esprimere un giudizio, senza testimonianze, senza prove? 
Si dirà che la violenza non merita considerazione. Ed è vero. Ma violenza da parte di chi? Da dove è cominciata la violenza? E che cos’è la violenza? Non sorge essa forse dalle nuove realtà che si vengono sviluppando sul piano di una maggiore intelligenza delle situazioni economiche, culturali e sociali? Non è la violenza sfogo di frustrazioni subite nel corso dei tempi, manifestazione che scaturisce da una visione più acuta delle disuguaglienza, da una capacità più attenta di cogliere le cause delle ingiustizie? 
La violenza di Reggio viene dopo la violenza del vertice, la quale, per essere più sottile e più civile può essere meno appariscente e per nulla punita. Non si può eliminare la violenza dei poveri se non si provvede ad eliminare prima la violenza dei potenti. 
La causa del capoluogo non era e non è un bersaglio sbagliato; non ci sono in politica mai fatti definitivi quando risultano essersi determinati in maniera tanto controversa. Ci sono gesti che devono essere compiuti: in questi casi l’autocritica è segno di grande dignità. 

Ora il mosaico va ricostruito pazientemente, tenendo presenti tutte le difficoltà che comporta. Tanto più se non c’è nessuno dietro che sostiene o che addirittura paga. E’ difficile farsi valere in queste condizioni; è cosa ardua pur anche pubblicare un libro di documentazione e di testimonianze come questo. In merito qualche editore dalla sigla troppo grande, dopo averci pensato su, ha detto di no. E noi dal canto nostro, in luogo della protezione dei potenti, sull’altro piatto, abbiamo gettato la più sconfinata passione per la libertà. 
Il parallelo da cui prende vita il nome stesso dell’Editrice è un parallelo largamente discusso, sol che si pensi a Smirne, ad Atene, a Seoul; tuttavia è discriminante sul piano del come si vuole intendere la libertà; ché c’è la libertà dei carri armati e la libertà di Jan Polach; ora siamo al punto in cui ciascuno deve fare la scelta“.

Giuseppe Reale

La Rivolta di Reggio 50 anni dopo: 1970-2020, lo Speciale di StrettoWeb per non dimenticare

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