Da Messina a Palermo, c’erano dei mostri che popolavano la Sicilia: chi erano le “Donas de fuera”

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Nel folklore storico della Sicilia, Donas de Fuera (in spagnolo per “donne dell’altrove”, in quel tempo l’Isola era sotto il dominio spagnolo) erano esseri soprannaturali. Fra il XVI° secolo e metà del XVII° si trovano anche tra i processi della caccia alle streghe in Sicilia

Una terra di miti e storie che si tramandano di generazione in generazione. E’ anche questo che rende la Sicilia una Regione unica al mondo. Ci sono leggende che fanno parte della tradizione popolare, racchiudono le origine antiche e fanno parte del patrimonio culturale. Come ad esempio le narrazioni legate al fenomeno della Fata Morgana nello Stretto di Messina, che già abbiamo raccontato, e come anche quelle sulle Donas de Fuera. Chi erano i misteriosi esseri che abitavano la Sicilia di un tempo e di cui spesso sentiamo parlare? Le Donas de Fuera (“donne dell’altrove”) erano degli esseri femminili soprannaturali, che però non sono paragonabili né a delle streghe e né alle fate del folklore britannico. Il loro nome si trova per la prima volta fra il XVI° e il XVII° secolo, in seguito ai processi legati alla caccia alle streghe nell’Isola. In base alla provincia d’appartenenza: belli signuri, donni di locu, patruni di casa. Secondo la credenza, si pensa che le “Signore” costituivano una società di 33 potenti creature, le quali erano sotto la dipendenza di una “Fata Maggiore” (anche chiamata “Mamma Maggiore”, “Signora Greca” e “Savia Sibilla”), che si trovava proprio a Messina.

Questi personaggi sarebbero entrati in contatto con gli esseri umani, per lo più donne, che avrebbero reclutato a Benevento, nel Regno di Napoli. Le Donas de Fuera erano belle e vestite di bianco, rosso o nero. In realtà però, potevano essere sia uomini che donne ed avevano piedi simili a zampe di gatto o cavallo o, comunque, arrotondati. Giravano in gruppi di cinque o sette unità: tra di loro una fata maschio suonava il liuto o la chitarra mentre ballava. Si narra, inoltre, che questi esseri amassero la pulizia e la compostezza fino allo scrupolo; e nelle case dove vanno vogliono trovare tutto in bell’ordine, ben rifatto il letto, bianche e odorose le lenzuola, sprimacciati i guanciali, splendido il rame della cucina, benissimo spazzate le stanze. Secondo la credenza, queste signore uscivano di casa la notte, non col corpo e lo spirito, ma solamente con lo spirito. Andavano a trovare gli spiriti degli inferi, le anime vaganti, per averne consigli, risposte e domande di cose future.

La leggenda narra che ci fossero anche dei modi per attirarle. Chi voleva in casa una “bella signora” doveva prima della mezzanotte, ardere dell’incenso, foglie d’alloro e rosmarino e assicurarsi che la casa fosse perfettamente pulita e ordinata. Durante il suffumigio si doveva recitare:
“Ti salutu re di lu Suli. Ti salutu re di la Luna. Ti salutu stidda ‘ndiana. Beni aspettu ‘ntra sìmana”
(“Ti saluto re del Sole. Ti saluto re della Luna. Ti saluto stella indiana. Bene aspetto entro la settimana”).

Il profumo chiamava le belle signore al passare. Entravano per le fessure o per il buco della serratura, in quanto spiriti. Le Donas de Fuera non si lasciavano vedere da nessuno, ma il loro passaggio era rivelato da sentori e da rumori impercettibili. La credenza vuole che le loro doti fossero la bellezza, il senso della giustizia, la virtù del silenzio e dell’ubbidienza alle decisioni prese insieme con le compagne. Non tutti i giorni della settimana era loro concesso di uscire, ma andavano attorno il giovedì notte, al buio, penetrando nelle case pei buchi delle serrature e per le fessure degli usci. Da qui anche il nome di “Donni di notti”. Ma se il nuovo giorno le sorprendeva, eccole diventar rospi e tali restare tutto il venerdì fino alla notte seguente, in cui ridiventano donne. Il rospo perciò, potendo essere una Donas de Fuera, non andava ucciso; e chi commetteva il tragico errore, moriva dopo 24 ore o diventava rattrappito o storpio, così come chi abbia l’imprudenza di maltrattarlo.

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