“L’onda che ti ha portato via”: il toccante racconto sulla tragedia dei migranti

StrettoWeb

“Quando muore un uomo è la sconfitta del genere umano, ma quando muore un bambino è ancora più devastante perché con lui muoiono la speranza e il futuro”

Riportiamo di seguito il racconto che il messinese Emanuele Cilenti, poeta, scrittore, attore e autore di canzoni, ha inviato alla nostra redazione, ispirato alla tragedia dei migranti morti in mare dal titolo “L’Onda che ti ha portato via”.

L’onda che ti ha portato via

Suona la sveglia e sul display appare l’orario: le 02:00 a.m. è ancora buio di quel buio che solo un pescatore conosce. Melo (abbreviativo di Carmelo) detto anche: “u piscaturi” (traduzione siciliana di: pescatore), spegne la sveglia, un occhiata a sua moglie che le dorme accanto, sono già 40 anni che sono sposati, ma lui la ama come fosse il primo giorno, le da un bacio sulle labbra salutandola, si alza da letto, indossa lo scafandro, calza i suoi famosi stivali da pescatore di colore verde in PVC e si dirige verso la cucina, il tempo di versarsi un caffè ormai raffreddato fatto la sera prima ed è subito in spiaggia. Melo ha la fortuna di avere una casa che si affaccia sul mare, praticamente il mare è come se l’avesse dentro casa. Ad attenderlo in spiaggia c’è il suo amico e collega Gino di 20 anni meno di lui e che con Melo aveva condiviso buona parte della carriera da pescatore. “Ciao Melo, oggi è un giorno speciale, oggi è il tuo ultimo giorno di pesca, da domani sarai pensionato”, “già” rispose melo con quel velo di malinconia che hanno tutte le persone che devono abbandonare qualcosa che amano troppo. Per Melo il mare rappresentava la sua vita, ma ormai era giunto il momento di lasciarlo anche a causa di quella persistente bronchite che non l’ha più abbandonato da 20 anni a questa parte. Il tempo di sistemare le reti sulla Caterina, una barca di legno un po’ vecchia e logora, con le strisce verdi, bianche e rosse a cui aveva dato il nome di sua moglie. Col verricello e un po’ di fatica Melo e Gino la calano in mare e prendono il largo. “Gino, questo è il posto giusto per calare le reti” “subito capitano” rispose scherzando e sorridendo, ma dove prendeva tutto quell’entusiasmo alle 02:00 di notte questo Melo non l’aveva mai capito. Il fumo della sigaretta scomparve tra il buio della notte, l’aveva accesa Gino dopo aver calato le reti, e pure luna era nascosta, tra i guanciali grigi delle nuvole, solo una vecchia lampada ad olio ad illuminare quella piccola imbarcazione sperduta tra le onde del mare un regalo che tanti anni fa aveva fatto il padre a Melo quando cominciò a lavorare come pescatore, era molto affezionato a quella lampada, e quella notte avrebbe illuminato il mare per l’ultima volta prima di finire tra gli scatoloni del garage. Ad un tratto Melo udì un rumore provenire da sotto la barca, sembrava come se avessero urtato contro qualcosa, ma com’era possibile, si chiese, dato che aveva gettato l’ancora già da un ora e da lì non si erano più spostati, oltre tutto il mare era pure calmo, c’era bonaccia, non tirava nemmeno vento. Prese la lampada a olio ed illuminò la parte sotto della barca, d’un tratto scorse la sagoma di qualcuno che sembrava un bambino, urlò a Gino di prendere un retino, tirò su qualcosa, fece un sospiro di sollievo quando si accorse che non si trattava di un bambino ma di un bambolotto; “menomale Gino, pensavo si trattasse di un bambino, ed invece è solo un giocattolo”,“già, menomale, certo è che le persone sono davvero maleducate”, “che intendi dire?”. “I genitori portano i giocattoli ai figli che poi a loro volta li abbandonano nella spiaggia, che inciviltà!” “Giusto, hai ragione Gino, il mare è vorace e inghiotte tutto ciò che trova, anche nella spiaggia”. Il sole stava cominciando ad albeggiare, anche se la visibilità rimaneva scarsa a causa della fitta nebbia che si era addensata durante la notte. “Gino”, “dimmi Melo”, “cominciamo a tirare in barca le reti”, “ok, capitano”, Gino azionò il verricello elettrico montato sulla barca, anche se era un po’ usurato e arrugginito continuava a fare bene il proprio lavoro. La rete fu issata nella barca, Melo e Gino la adagiarono sulla barca, c’erano diversi pesci intrappolati, e poi lo vide, riconobbe subito quella sagoma, nonostante la scarsa visibilità, questa volta aveva visto giusto, non si trattava in un altro bambolotto, ma bensì di un bambino vero intrappolato insieme ai pesci, con un coltello tagliarono subito la rete che avvinghiava il corpicino di quel bambino, prese subito la lampada ad olio e l’orrore si palesò in tutta la sua crudeltà, su quella barca, tra brandelli di rete e pesci di vario tipo, giaceva senza vita un bambino. Indossava solo ciò che rimaneva di una magliettina sbiadita blu con tante piccole stelle disegnate, nel corpo i segni della violenza dei pesci e della crudeltà del mare. A quella visione tragica e devastante i volti dei due pescatori si fecero cupi, le lacrime cominciarono a formarsi nei loro occhi, Melo e Gino si guardarono intensamente con aria sgomenta. “Gino, che sarà successo secondo te?” “Secondo me lo avranno ucciso e gettato in mare” “che strazio, ecco fino a dove può spingersi la bestia umana!” Melo distolse un attimo lo sguardo da quel bambino, stava osservando adesso il bambolotto che avevano raccolto qualche minuto prima; “Gino, il bambolotto non era stato dimenticato da qualche genitore in spiaggia, il bambolotto era di questo bambino, ci siamo sbagliati, magari era quello che stringeva a se la notte prima di addormentarsi”. I due amici continuarono a guardarsi sconvolti e shockati, Melo si piegò sulle ginocchia, raccolte il corpo senza vita di quel bambino e se lo portò al petto, quasi a volerlo cullare l’ultima volta prima di un sonno che per lui sarebbe stato eterno. D’improvviso altri rumori si susseguirono da sotto la barca, si affacciarono impauriti e con sommo stupore si accorsero che erano i resti di una barca, travi di legno che sembravano mani e che sbattevano contro la loro imbarcazione quasi a voler attirare l’attenzione su quell’immane tragedia, fecero luce in quella direzione e videro l’orrore, altri corpi senza vita che galleggiavano sulla superficie del mare, tra loro un uomo e una donna mano nella mano che forse dovevano essere i genitori di quel piccolo bambino che avevano raccolto con le reti. Capirono allora di trovarsi a faccia a faccia con uno di quei barconi che si vedono alla tv nei notiziari di tutta Europa, imbarcazioni scassate di gente che, senza scrupoli né anima, usa per deportare esseri umani usati come nuovi schiavi, persone disperate costrette ad illudersi da false menzogne e brutali violenze, con la speranza in cuore di trovare la nuova El Dorado, ed invece, anche questa volta, un viaggio della speranza si era tramutato nel viaggio di sola andata per l’inferno. Melo, davanti a quell’ennesimo orrore, pianse più di prima, e stringendo a se il corpo esanime di quel povero fanciullo innocente alzò gli occhi al cielo; quel giorno, in quel mare, non finì soltanto la sua vita da pescatore, ma finì la vita di tutto il mondo, perché l’umanità, davanti a quell’ennesima tragedia, smise di esistere. E mentre la luna è scomparsa del tutto e il sole tarda a venire nuvole nere s’addensano sopra quel mare di morti ed incomincia una lenta e nefasta pioggia che non potrà cancellare mai quegli orrori perché sono lacrime di Dio.

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