Il fastidio di pensare – Quando la legge diventa tracotante

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Mi sono giunte, dopo il mio ultimo articolo, alcune osservazioni di persone che mi invitano a ragionare di come un invito alla disobbedienza civile sarebbe, in pratica, un invito alla disobbedienza alla legge e, in ultima analisi, se ognuno scegliesse d’ubbidire solo alle leggi che ritenesse giuste e disobbedisse alle altre, la legge perderebbe ogni sua autorità per diventare una piacevole scelta e la società finirebbe presto per dissolversi. Insomma, alle leggi si deve comunque obbedire, quali che siano, che ci piaccia o no, altrimenti lo Stato non avrebbe più motivo di esistere. Ho due riflessioni da proporre, una di natura morale, una di natura politica: mi soffermerò qui su quelle morali, riservandomi al prossimo articolo su quelle politiche. Il problema di fondo verte, alla fine, sulla differenza tra “giusto” e “legale”; si tratta di due concetti molto differenti, che anche se talvolta si sovrappongono restano concettualmente diversi. Eppure spesso la gente li confonde, credendoli un’unica cosa. Eppure già nel mondo greco Sofocle aveva scritto una tragedia per mettere a nudo come si tratta di due cose profondamente diverse. Nell’Antigone Creonte, che è detentore del potere legale, ordina qualcosa che è percepito come sbagliato e Antigone si ribella rispondendo, appunto, che per restare nella giustizia è costretta a uscire dalla legalità. Il legale, appunto, resta tale anche se vive al di fuori della morale, e il giusto, per essere tale, non ha bisogno dell’investitura legale. Perché, appunto, sapere cosa è legale è semplicissimo: la legalità è un puro atto amministrativo; mentre sapere cosa è giusto è estremamente complicato, e infatti il concetto di giustizia è sempre cambiato nel tempo, nei luoghi, nelle circostanze, e anni di pensiero filosofico hanno avuto grosse difficoltà a determinarlo.

E allora, proprio a dimostrazione che è così semplice essere un cittadino onesto non ci si stupirà che quelle che chiamiamo dittature sono sempre state attentissime alla “legalità” e il fascismo ha sempre formato i più grandi giuristi del Novecento, quali ancora li rimpiangiamo, e il dramma di Antigone, lungi dall’essere una storia vecchia di migliaia di anni, si è dimostrato vivo ancora fino a qualche decennio fa, nel processo ai gerarchi nazisti. Essi subirono dei processi che di legale non avevano nulla, ma che anzi erano risibili sotto ogni profilo giurisprudenziale, a cominciare dal principio della retroattività della legge, e si difesero candidamente dicendo che erano semplicemente degli esecutori di leggi che tra l’altro non avevano neanche scritto, insomma di essere solo dei cittadini onesti e dei tranquilli burocrati: eppure, come nel dramma di Antigone, si sentirono ribattere che, per essere giusti, avrebbero dovuto essere dei cittadini disonesti e degli uomini più all’altezza della loro coscienza. Hannah Arendt rifletté allora che, nel nostro tempo, per essere dei mostri non era più necessario avere il volto truce dei criminali che ci propongono in televisione, ma basta quello semplice, bonario, “banale”, dei tranquilli e onesti cittadini rispettosi della legge che dietro la legge occultano la propria coscienza.

Di uomini che invece la legge la avevano trasgredita per essere all’altezza della loro coscienza ne ho conosciuti parecchi. Il primo, nella mia tarda gioventù, fu il poeta sovietico Brodskij. Ebbi appena il tempo di fargli qualche domanda. Gli feci quella più banale che si poteva fare a un poeta che ormai aveva ottenuto, sia pure con molti sacrifici, il riconoscimento mondiale, e cioè se valeva la pena pagare con il carcere l’idea di proclamarsi poeta. Ma lui la domanda la prese molto seriamente: “Se hai un’idea, e ci credi, allora devi tenertela stretta e non fartela strappare via. Abbi il coraggio di difenderla al di là di quelle che possono essere le sue conseguenze”. Anni dopo, a un profugo curdo che faceva il giornalista, mi fece vedere alcuni articoli e poi mi disse: “Adesso tu vivi in Italia, e quando si vive in un paese libero è facile essere libero; ma se poi la libertà dovesse cominciare a scomparire anche qui, avresti il coraggio di difendere lo stesso la tua libertà?” Una domanda difficile, certo. Ma qualcuno ha trovato già le sue risposte.

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