Il Ponte sullo Stretto non si farà. Almeno non finché al governo ci saranno Mario Draghi ed Enrico Giovannini, con buona pace di Forza Italia che con i suoi esponenti più autorevoli continua quotidianamente a dichiarare che il Ponte sarebbe nei piani dell’esecutivo. Parole a cui non segue neanche un briciolo di fatti. Il Ponte sullo Stretto non ci sarà, neanche nel 2031: lo rileva un documento ufficiale pubblicato oggi dalle Ferrovie dello Stato in occasione della presentazione del piano industriale del prossimo decennio (2022-2031).
Le Ferrovie hanno annunciato imponenti investimenti per un totale di 190 miliardi di euro, di cui 16 sono destinati alla Calabria “in grande maggioranza destinati alla realizzazione dell’alta velocità Salerno-Reggio Calabria, e poi anche al potenziamento e all’elettrificazione della linea ionica e della dorsale Lamezia-Catanzaro Lido e ai collegamenti con il porto di Gioia Tauro“. Il piano prevede anche investimenti minori per la riqualificazione di aree urbane di Reggio Calabria, Montebello Jonico e Cosenza, ma anche nuovi treni sulla linea jonica e nell’area metropolitana di Reggio Calabria.
Ma nel documento c’è anche uno specifico riferimento allo Stretto di Messina: le Ferrovie prevedono di incrementare l’investimento per i servizi intermodali legati al traghettamento dei treni sullo Stretto di Messina dagli attuali 1,3 milioni a 4,1 milioni nel 2031, pari a 276 i treni annui che dovranno attraversare lo Stretto. Significa 23 treni al mese, non certo una grande prospettiva per la mobilità calabro-sicula per il 2031: se ci fosse il Ponte, di treni ne passerebbero centinaia al giorno. Carichi di merci, di relazioni, di storie, di professionalità, di sviluppo, di idee, di contatti. E invece il governo Draghi certifica oggi che il sottosviluppo del Sud continuerà (almeno) per altri 10 anni. Altro che forum per il Sud e sviluppo del Mezzogiorno! Calabria e Sicilia sono condannate a rimanere fuori dai principali circuiti infrastrutturali continentali, e tutto soltanto per non realizzare un Ponte che con Berlusconi aveva già avuto l’approvazione del progetto definitivo nel 2011, poi bloccato dal governo di Mario Monti. Oggi dopo undici anni a Palazzo Chigi c’è un altro tecnico, un altro Mario e un altro “no” alla grande opera che significherebbe sviluppo e crescita sociale, economica e culturale. Nel Paese in cui tutto cambia perché nulla cambi.
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