Boss della ‘ndrangheta muore al 41 bis e il mondo inspiegabilmente si indigna

Giuseppe Gallico, dopo 34 anni di carcere, è morto a soli due giorni dal suo agognato trasferimento in ospedale: ma perché ci indigniamo così tanto?

StrettoWeb

Gli anni trascorsi in carcere dal boss della ‘ndrangheta Giuseppe Gallico sono equiparabili quasi ad un’intera vita: ben trentaquattro, di cui ventidue in regime di 41 bis. Negli ultimi anni si era ammalato di fibrosi polmonare, che ora lo ha portato alla morte. L’uomo è deceduto a 66 anni, lunedì mattina, dopo soli due giorni dal suo trasferimento all’ospedale San Paolo di Milano. Da giugno dello scorso anno i suoi legali avevano chiesto il differimento della pena a causa della gravità delle sue condizioni di salute. L’accoglimento della richiesta era arrivato venerdì scorso. E un paio di giorni dopo è sopraggiunto il decesso.

Gallico era in carcere dal 1990. La sorella, Carmela Gallico, dopo la morte del fratello ha scritto una lettera riportata oggi in parte da ‘Il dubbio’. “La morte gli ha restituito la libertà e la dignità che il cinismo umano della gente per bene gli ha negato fino al suo ultimo agonizzante respiro“, scrive la sorella del boss. “Lo so già: qualcuno obietterà, non senza piglio scandalizzato ed indignato, che i morti delle camere a gas erano vittime innocenti, non certo “mafiosi” al 41 bis… io rispondo loro che gli uni e gli altri erano uomini e che la vita di nessun uomo ha valore diverso e inferiore di quella di altro uomo“.

La fibrosi polmonare aveva colpito Gallico meno di un anno fa, ma la detenzione ospedaliera gli è stata concessa a poche ore dalla morte. “Sia chiaro: a chi immagina un ambiente simile a quello ospedaliero va subito detto che tutti i detenuti portati in quel reparto preferiscono la propria cella alla stanza ospedaliera – scrive ancora Carmela Gallico – una tomba scavata nel cemento: niente finestre, niente arredi e televisione, né voce umana. Il senso claustrofobico di solitudine e abbandono in quell’asettico buco senza uscite è più temibile della paventata morte“.

Sui social è partita già da subito la gara a chi si indigna di più. Comprensibile il dolore di una sorella, che ha pur sempre perso il fratello sebbene fosse un mafioso. Meno comprensibile è l’indignazione di chi pensa che un boss condannato per reati di ‘ndrangheta abbia il diritto di morire nel calduccio del proprio letto. E perdonateci se appariamo cinici, ma la verità è che se Gallico stava scontando decenni di pena in regime di carcere ostativo, non è perché fosse uno stinco di santo. Pace all’anima sua.

Garantisti sì, lo diciamo da sempre, ma piegati alla criminalità no. Il caso di Alfredo Cospito deve far riflettere perché è un grave campanello d’allarme: i mafiosi, i terroristi e i colletti bianchi che li appoggiano stanno palesemente cercando di smuovere le acque affinché il carcere ostativo diventi in Italia un lontano ricordo. E allora a questo punto andiamo tutti direttamente a sputare sulle tombe di Falcone e Borsellino, perché facciamo prima. Il giustizialismo è un cancro nel nostro Paese, ma è innegabile che anche il ‘buonismo’ nei confronti di chi si è macchiato di gravi reati di associazione mafiosa, senza rispetto per la vita altrui, è un’erbaccia infestante da estirpare prima che dilaghi.

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