Calabria, indagati per proteste contro le restrizioni ma il Covid non c’entra: “chiediamo sanità migliore, ma considerati criminali”

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54 indagati in Calabria per cortei non autorizzati nel 2020 ma alcuni dei soggetti sotto indagine, chiamati direttamente in causa nella vicenda, hanno voluto fare delle precisazioni

Avevano protestato, nel 2020, in pieno periodo pandemico, con cortei non autorizzati, e per questo sono stati indagati. Sono 54 gli avvisi di conclusioni indagini emessi dalla Procura di Catanzaro nell’ambito di un’indagine condotta dalla Digos della Questura del capoluogo calabrese. Secondo quanto si legge, i reati contestati sono quelli di aver promosso, in concorso, delle riunioni in luogo pubblico o aperto al pubblico senza dare preventivo avviso al Questore; resistenza a un pubblico ufficiale, porto di arma o oggetto atto ad offendere; interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità. L’attività investigativa è stata avviata dopo il verificarsi di alcune iniziative di mobilitazione pubblicizzate sulle maggiori piattaforme social e svoltesi nel capoluogo di regione per protestare contro le politiche governative e le restrizioni imposte per contrastare la diffusione del contagio da Covid-19.

Alcuni dei soggetti sotto indagine, chiamati direttamente in causa nella vicenda, hanno però voluto fare delle precisazioni: “le maggiori testate giornalistiche calabresi hanno diramato ieri la notizia circa gli avvisi di garanzia aventi per oggetto ‘cortei contro le restrizioni Covid’ che sarebbero stati effettuati durante il periodo pandemico. Come diretti interessati (essendo presenti nella lista degli indagati) ci teniamo a precisare e sottolineare – specificano – che le manifestazioni in oggetto avevano come obiettivo protestare contro lo smantellamento della sanità pubblica, contro il piano di rientro sanitario, contro la mancanza di tutele sul lavoro e contro il “caporalato legalizzato” costituito da fenomeni come i tirocinanti della PA. I cortei NON CONTESTAVANO le misure anti-Covid varate dal governo. Questa è probabilmente una ricostruzione fantasiosa di alcune agenzie di stampa”, aggiungono. A detta loro, dunque, il Covid e le restrizioni non c’entrano, ma il problema è bensì la sanità disastrata in Calabria, per cui chiedevano maggiori garanzie.

“A prescindere dal merito delle accuse – si legge ancora nella nota – ci permettiamo di sottolineare, piuttosto, il problema politico che esiste nel fare passare – da parte delle istituzioni – per criminali coloro che protestano contro lo smantellamento della sanità e dei diritti sociali, e non chi questo smantellamento lo mette in atto. Reprimere chi dissente è un delitto, soprattutto in un momento in cui, per via dello strapotere delle clientele padronali locali e dei boiardi della sanità privata, la democrazia elettorale è solo formale e, per via dei ricatti dei capitali privati che finanziano la spesa pubblica, è vietato ad un governo, anche, “democraticamente eletto”, fare politiche sociali. Dissentire, anche in forme vivaci, diviene un diritto politico nel momento in cui gli spazi di democrazia sostanziale sono ristretti e nel momento in cui le “regole” non sono implementate dallo stesso Stato che si arroga il diritto di processarci: il piano di rientro sanitario è anticostituzionale, come lo è la maggior parte dei contratti di lavoro in Calabria (situazione poco attenzionata da forze dell’ordine e organi di vigilanza), come lo è la situazione dei tirocinanti della PA. Ribadiamo, perciò, il diritto alla contestazione e la NOSTRA accusa nei confronti di uno Stato che, ancora una volta, gestisce i problemi sociali come problemi di ordine pubblico”, concludono.

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