Croazia e Bosnia come Messina e Reggio Calabria: quando il ponte diventa motivo di discordia

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Mentre la realizzazione del Ponte sullo Stretto è frenata da motivi ideologici, dietro quello di Peljesac ci sono ragioni geopolitiche: quanto l’opera di collegamento divide anziché unire due sponde separate dal mare

Non sempre il ponte rappresenta un simbolo di unione tra due sponde, talvolta quest’opera di ingegneria può diventare “pomo della discordia”. Lo sanno bene Messina e Reggio Calabria, che un collegamento stabile lo aspettano da alcuni decenni, ma il riferimento questa volta non riguarda lo Stretto di Messina. Parliamo, nel caso specifico, del ponte di Peljesac, anche detto ponte di Sabbioncello tra Croazia e Bosnia-Erzegovina. A dividere i territori, però, non ci sono motivi ideologici o politici, come avviene in Italia, in questo il problema è infatti di carattere geopolitico. Dopo diversi anni di polemiche, nel 2018 Zagabria ha avuto il benestare dell’Unione Europa e sembra che nel corso della prossima estate i lavori saranno completati e il tracciato percorribile, ma la storia dell’opera è davvero molto complessa.

Osservando la Croazia sulla mappa geografica, si può notare un’interruzione territoriale. La Dalmazia meridionale è separata dal resto del Paese dall’unico sbocco sul mare della Bosnia-Erzegovina, il corridoio di Neum, che si affaccia sull’Adriatico per circa 20 km di costa. Questo territorio, eredità dell’antica frontiera tra la Repubblica di Ragusa e l’Impero Ottomano, ha rappresentato, in seguito alla dissoluzione della Jugoslavia, un problema per il commercio e il turismo, a causa della doppia dogana da dover attraversare via terra che spesso. Soprattutto in estate, il tratto vede file interminabili, che ricordano molto gli scali per i traghetti tra Calabria e Sicilia. La costruzione del ponte, dunque, punta a risolvere definitivamente questo problema, permettendo il passaggio per l’Adriatico e “scavalcando” Neum.

Dopo anni di tira e molla, come detto in precedenza, nel 2018 la Croazia ha ottenuto il benestare dell’Unione Europa, che ha finanziato 357 dei 550 milioni di euro necessari alla costruzione dell’opera infrastrutturale, della quale si è occupata l’impresa statale cinese China Road and Bridge Corporation, vincitrice dell’appalto. Il viadotto, un ponte strallato in cemento armato e metallo lungo 2.4 km, non ha però incontrato il favore di tutti, in primis della Bosnia, la quale sente minacciato l’accesso alle acque internazionali, con il traffico di grandi navi da e per il porto di Neum potenzialmente ostacolato dal ponte di Peljesac. Il governo di Sarajevo si è così appellato al presidente della Commissione Europea e ha chiesto al primo ministro croato l’interruzione dei lavori per risolvere prima la disputa sui confini, ma tutto è risultato invano: il 28 luglio 2021 è stato collegato l’ultimo segmento del ponte e si prevede che, una volta concluso il collaudo e tutte le infrastrutture collaterali (2 ponti minori, tunnel e 30 km di strade di accesso), dovrebbe essere operativo in tempo per la prossima stagione estiva. Chissà se il contenzioso vedrà finalmente il suo completamento. Certo è che, come successo in Italia, esiste un altro ponte che potrebbe unire ma, al tempo stesso, divide, seppur per cause diverse.

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