“Il ruolo delle donne determinante nel contrasto alla ‘ndrangheta del futuro”, tavola rotonda alla Camera di Commercio di Reggio Calabria

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Tavola rotonda alla Camera di Commercio di Reggio Calabria per discutere di figure femminili che sono state madri, depositarie di verità criminali, boss, pentite e testimoni. Il procuratore Lombardo: “ripensare l’introduzione del 416 quater”

“È dalle donne che si deve partire per destrutturare le organizzazioni criminali. Sarebbe opportuno riprendere quei lavori, finiti nel nulla, che prevedevano l’introduzione dell’articolo 416 quater, ossia la pena accessoria della decadenza dalla responsabilità genitoriale a seguito di condanna per associazione mafiosa o per altri delitti aggravati dalle medesime condizioni“. Così si è espresso il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, nel corso della tavola rotonda “Donne e ‘Ndrangheta”, svoltosi nella sala conferenze della Camera di Commercio.  L’evento, organizzato dall’avvocato Giovanna Cusumano, moderatrice insieme al direttore del Reggino, Consolato Minniti, ha visto la partecipazione del direttore della Dia, Maurizio Vallone, del sostituto procuratore di Napoli, Liana Esposito e, in collegamento, la segretaria della commissione parlamentare antimafia, Wanda Ferro, ed il giornalista e massmediologo Klaus Davi.

“Vi è una emancipazione femminile anche all’interno delle organizzazioni mafiose”, ha spiegato l’avvocato Cusumano nella sua introduzione, mirando a chiarire come il tema costituisca un momento di “analisi rilevante anche per il futuro delle stesse organizzazioni criminali”, muovendo dalla convinzione che il processo di cambiamento della Calabria debba “partire proprio dalle donne”. 

“Non vi è mai stato finora un processo esclusivamente a carico di donne – ha rimarcato il procuratore Lombardo – il cui ruolo non venendo esteriorizzato, rimane spesso fuori dai processi giudiziari, nonostante loro non siano affatto esterne alle dinamiche criminali e familiari delle organizzazioni mafiose. Pensiamo a Maria Serraino, mamma eroina, originaria di Cardeto, negli anni Settanta nota come la signora della Lombardia. Un fenomeno che in seguito non fu riproposto e ciò ha delle ragioni che sono profondamente legate alle trasformazioni del fenomeno mafioso anche oggi sono in atto”. 

Di donne e Camorra ha invece discusso il sostituto procuratore Liana Esposito. “Esse – ha spiegato – sono discendenti oppure sono giovani poco scolarizzate e provenienti da quartieri degradati alla ricerca di uno status sociale, proporzionale al calibro criminale dell’uomo che sposano e al quale danno dei figli: ecco le donne della Camorra“. Quanto alle collaboratrici di giustizia, invece, “ce sono poche. Ricordo Maria Duraccio, Anna Carrino. Sono precise e dettagliate. Non collaborano mai per scelta civica ma solo a seguito di una decisione pragmatica quando si ritrovano dalla parte sbagliata del clan oppure stanno rischiando la loro incolumità o che la prole venga loro sottratta”. 

È toccato, invece, al direttore della Direzione investigativa antimafia, Maurizio Vallone, fare il punto sulle diverse organizzazioni criminali ed il ruolo delle donne: “Dentro Cosa Nostra la donna non ha come, nella ndrangheta, una strutturazione. Non c’è alcuna possibilità di affiliazione per la forte connotazione familistica, rispetto alla quale anche un figlio nato fuori dal matrimonio può essere considerato una minaccia per l’onorabilità. Nella Camorra, invece, le dinamiche sono ancora diverse. Si pensi al cado della donna killer, Cristina Pinto, soprannominata Nikita”.

Di donne depositarie della memoria criminale ha parlato il massmediologo Klaus Davi: “la ‘ndrangheta si fonda su elementi culturali antropologici molto forti e la donna raccoglie ed estremizza i tratti negativi del popolo calabrese che è un popolo molto identitario. In particolare la ndrangheta si fonda sulla cultura della memoria criminale di cui la donna è la depositaria con il compito di tramandarla. Registro un approccio differente alla diversità in uno scenario che muta. In tutto questo, proprio la donna potrebbe essere quella custode dell’ortodossia e di un’identità della ndrangheta sulla quale fattori esterni stanno incidendo in modo sempre più pregnante. Osservo delle nuove fasi e ho la sensazione che la ndrangheta stia mutando in qualcos’altro, anche se continuerà ad avere il monopolio di certi business”.

Ma quale deve essere il ruolo dello Stato in un simile contesto? A rispondere al quesito è stata la segretaria della commissione parlamentare antimafia, Wanda Ferro: “lo Stato, presente nel contrasto e nella lotta al crimine mafioso, è chiamato anche a supportare e attenzionare sempre di più questo fenomeno di fuoriuscita, a sostenere e ad alimentare questo mutamento epocale, perché le lotte delle donne sono sempre lotte per la vita stessa. Penso alla preziosa esperienza avviata da Roberto Di Bella con il tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria, al protocollo Liberi di Scegliere che ha concretizzato delle alternative al destino criminale per i figli allontanati dalle famiglie affiliate”. 

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