Reggio Calabria: presso la Sala Giuffrè della Villetta De Nava iniziativa su Giovanni Verga

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Reggio Calabria: presso la Sala Giuffrè della Villetta De Nava iniziativa su Giovanni Verga con la partecipazione della Prof.ssa Francesca Neri

Il 27 gennaio del 1922 – cento anni fa – moriva a Catania (nella città Etnea era nato nel 1840) Giovanni Verga, il maestro riconosciuto del “verismo” italiano, quella corrente letteraria che sotto il più ampio nome di “realismo”, e poi di “naturalismo” in Francia con Emile Zola, ha caratterizzato tanta parte della narrativa ottocentesca. All’anniversario l’Associazione Culturale Anassilaos, congiuntamente con la Biblioteca “Petro De Nava” e con il Patrocinio del Comune di Reggio Calabria, dedica un incontro che si terrà giovedì 13 gennaio alle ore 16,45 presso la Sala Giuffrè della Villetta De Nava con la partecipazione della Prof.ssa Francesca Neri. Le prime prove letterarie di Verga, frutto dei suoi soggiorni e delle sue frequentazioni dei circoli culturali e letterari di Firenze e Milano, intrise ancora di un carattere romantico e passionale a sfondo psicologico (Una Peccatrice, Storia di una Capinera, Eva, Eros, Tigre reale) non lasciano ancora presagire la svolta letteraria e umana dello scrittore che sembra annunciarsi però con la novella Nedda (Bozzetto siciliano) del 1874, storia della vita dura e stentata di una contadina. Certo l’Autore, anche dopo Nedda, proseguirà in una serie di tentativi che lo avvicinano al realismo francese di Flaubert e della sua Madame Bovary con Il marito di Elena pubblicato nel 1882, addirittura dopo “I Malavoglia” del 1881, ma la sua strada, artistica e umana, è ormai tracciata; frutto di una attenzione verso il mondo dei vinti, pescatori o contadini della sua Sicilia. Da Nedda (1874) alla raccolta “Vita dei campi” del 1880 (con le novelle Fantasticheria, Jeli il pastore, Rosso Malpelo, Cavalleria rusticana, la lupa, L’amante di Gramigna, Guerra di Santi, Pentolaccia) a “I Malavoglia” passano ben otto/nove anni, anni intensi di studi e ricerche nel corso dei quali il nostro narratore dovette affrontare il più grande dei problemi che si pone uno scrittore che voglia scrivere con piena adesione alla realtà, quello della lingua da far parlare ai suoi protagonisti. I pescatori o i contadini siciliani non potevano certamente parlare un italiano sia pure sicilianizzato e d’altra parte Verga non voleva certamente scrivere in dialetto che, per quanto più realistico, non consentiva una leggibilità dell’opera al di fuori della Sicilia. La scelta vincente fu un linguaggio cadenzato, quasi musicale, un italiano melodico ricco di inflessioni sicule che hanno fatto parlare un critico come Francesco Russo di “circulata melodia”. Costruitosi un proprio originale linguaggio in pochi anni Verga poté dare alla luce capolavori quali “Novelle Rusticane” nel 1883 (Il Reverendo, Cos’è il Re, Don Licciu Papa, Il Mistero, Malaria, Gli orfani, La roba, Storia dell’asino di S. Giuseppe, Pane nero, I galantuomini, Libertà, Di là del mare) e “Mastro Don Gesualdo” del 1889. Sappiamo che lo scrittore si proponeva di comporre un ciclo narrativo, il cosiddetto “ciclo dei vinti” che oltre ai Malavoglia e a Mastro Don Gesualdo doveva comprendere altri tre romanzi, in parte concatenati tra loro: La Duchessa di Leyra (di cui rimane qualche bozza) e poi ancora L’onorevole Scipioni e L’uomo di lusso. Un progetto non portato a termine non solo e non tanto per l’esaurirsi della creatività ma forse per la difficoltà, rilevata dal critico Natalino Sapegno in un suo saggio su Verga, che incontrò lo scrittore nel ricreare un ambiente e soprattutto un linguaggio adeguato al contesto in cui si muovevano i personaggi dei romanzi progettati, quello aristocratico (per la Dichessa di Leyra), quello politico (per L’onorevole Scipioni), quello letterario culturale (per L’Uomo di lusso). Ambienti e contesti che egli aveva frequentato nel corso dei suoi anni giovanili trascorsi lontano dalla Sicilia ma che a distanza di tantissimi anni si presentavano assolutamente nuovi per lui.

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