Alitalia lascia l’Aeroporto di Reggio Calabria, oggi l’ultimo volo da Roma: si chiude una storia lunga 74 anni

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Nello scalo reggino tanti problemi e disagi si sono vissuti fino alle scorse ore, con circa 30 operatori che sono rimasti per settimane appesi ad un filo

Si scrive Az 1157, è il codice alfanumerico che stasera rappresenterà l’epilogo finale e più triste di una lunga storia. Quando intorno alle 18.30 atterrerà il volo Roma-Reggio Calabria calerà il sipario sulla vecchia Alitalia che da mezzanotte passerà il testimone alla compagnia Ita. Un addio che lascia spazio al rammarico e il rimpianto per un destino scritto in modo irreparabile ma, forse, avrebbe potuto avere un altro corso se fossero state compiute negli anni scelte diverse. Ma la storia non è fatta di se: Ita, probabilmente, continuerà a volare con il brand Alitalia ma quello che è certo è che la sua nascita, all’insegna della forte discontinuità imposta da Bruxelles, chiude definitivamente con il passato. Quella di Alitalia è una storia che si intreccia, a doppio filo, con quella di un Paese, fino a diventarne, nel bene e nel male, anche il simbolo emblematico. Nello scalo reggino tanti problemi si sono vissuti fino alle scorse ore, con circa 30 operatori che sono rimasti per settimane appesi ad un filo: il deputato Francesco Cannizzaro ha però ieri sera annunciato con una nota la proroga di un mese nelle more dei quali poter “procedere con il definitivo affidamento dei servizi di handling al nuovo gestore, che potrà quindi assorbire anche il personale del Tito Minniti”.

Insomma, una storia tutta italiana, che ha conosciuto anni d’oro e grandi fasti poi oscurati dall’ombra lunga degli ultimi 30 anni, segnati da un inesorabile declino, ascrivibile ad errori di strategie industriali, a congiunture avverse, ma anche a responsabilità politiche. Decenni segnati anche da vertenze endemiche e da conflitti sindacali, racconta in maniera molto approfondita l’Adnkronos, sfociati anche in clamorosi scioperi e proteste. I diversi acronimi, da Lai a Ita, scrivono ognuno un capitolo di questa storia. Alitalia viene fondata a Roma il 16 settembre 1946 con il nome di Alitalia-Aerolinee Italiane Internazionali e opera il primo volo il 5 maggio 1947 sulla rotta Torino-Roma-Catania. Due mesi dopo decolla il primo volo internazionale, da Roma a Oslo. A marzo 1948 viene inaugurato il primo volo intercontinentale: un volo di una durata complessiva di 36 ore, che collegava Milano a Buenos Aires con scali intermedi a Roma, Dakar, Natal, Rio de Janeiro e San Paolo. A cavallo tra il 1949 e il 1950, cresce la flotta, entrano in servizio le prime assistenti di volo della compagnia e vengono introdotti i pasti caldi a bordo dei velivoli.

Ormai di proprietà dell’Iri e quindi già compagnia aerea di bandiera, nel 1957 viene fusa anche con l’altra compagnia aerea di bandiera italiana, Linee Aeree Italiane, anch’essa di proprietà Iri, dando vita ad Alitalia-Linee Aree Italiane. Nel 1960, Alitalia diventa sponsor ufficiale delle Olimpiadi di Roma. Nello stesso anno, vengono introdotti i primi aerei a reazione mentre l’anno successivo segna l’apertura dell’Aeroporto di Roma – Fiumicino, nel quale la compagnia posizionerà il suo hub principale. Dieci anni dopo la compagnia diventa la prima europea ad avere in flotta solo aerei a reazione e, con la consegna del primo Boeing 747-100 la compagnia adotta un nuovo logo, la classica ‘A’ tricolore che verrà riportata su tutte le code degli aerei in quanto parte della nuova livrea. Anche gli anni ’70 e ’80 sono anni di sviluppo con l’espansione della flotta e del network: arrivano Douglas DC-10, dei McDonnell Douglas MD-80 e degli Airbus A300 con l’apertura di rotte da Roma verso l’estremo oriente, come Tokyo. Eppure, già si annidano i primi problemi, nati dall’evoluzione dello scenario dove il regime di monopolio comincia a scricchiolare e dove cambiano profondamente anche le relazioni sindacali. La fine degli anni ’70 è contrassegnata dagli scioperi di Aquila Selvaggia con i piloti che salgono sulle barricate contro la proposta di un nuovo contratto unico di tutti i lavoratori del trasporto aereo, voluto dal Cgil, Cisl e Uil, con il presidente Umberto Nordio. Tensioni mai risolte negli anni successivi, segnati da pesanti conflitti, con la compagnia che non sembra più saper essere all’altezza delle sfide imposte dal mercato. Alla fine degli anni ’80, nel giugno dell’88, si consuma la rottura tra Nordio e l’allora presidente dell’Iri, Romano Prodi. Un carteggio (‘caro Prodi, caro Nordio’) che mette, nero su bianco, le divergenze strategiche tra l’azionista e il top management. Lo scontro vede l’uscita del vecchio boiardo di Stato, con l’arrivo dalla Svezia di Carlo Verri (Electrolux). È una ventata rivoluzionaria quella che porta il top manager, già sostenitore de ”La Piramide Rovesciata” di Jan Carlzon, la nuova bibbia del manager nell’era dei servizi. Verri muore prematuramente in un incidente stradale e a guidare Alitalia l’Iri di Franco Nobili nomina Giovanni Bisignani e Michele Principe.

A cavallo del decennio, tra anni ’80 e anni ’90, Alitalia perde sempre più quota e imbocca il tunnel dal quale non riesce più ad uscire. A testimoniarlo é l’allarme lanciato, nel 1994, dal nuovo amministratore delegato, Roberto Schisano, detto il texano dagli occhi di ghiaccio, che, senza mezzi termini, avverte che Alitalia ha 500 giorni di vita. Schisano ingaggia con i piloti un durissimo scontro, che diventa dirompente quando decide di prendere in wet leasing dall’australiana Ansett aerei Boeing 767 con relativi equipaggi. Si scatena la rivolta di Aquila Selvaggia con il presidente dell’Anpac Giovanni Erba e i piloti che occupano le piste (febbraio 1995) e (giugno 1995) cadono ‘improvvisamente ‘malati. E la ‘guarigione ‘arriva con un accordo segreto (considerato ”scellerato” dall’Iri) che Schisano firma con i piloti e che, una volta uscito dalla cassaforte del notaio dove era stato depositato e reso pubblico, costerà la poltrona a Schisano insieme a quella del presidente Renato Riverso. Un’altra testa che cade in Alitalia. Già perché la storia di Alitalia è anche questo: una macchina che ‘tritura ‘amministratori delegati e presidenti. Il timone viene affidato, nel marzo del ’96, a Domenico Cempella, manager che comincia la sua carriera dal basso, dal front line dell’aeroporto di Fiumicino. Sta a lui tracciare la nuova rotta di Alitalia con un nuovo piano industriale, supportato da un aumento di capitale e dal positivo sentiment dei lavoratori che lo avevano conosciuto ed apprezzato negli anni della sua gavetta; Cempella ridisegna l’assetto societario della compagnia con nuove hcc, high competitive carrier, strutture più snelle e dai costi competitivi, e prevede l’azionariato dei dipendenti. Ma soprattutto Cempella esplora il terreno di nuove alleanze e trova in Klm il partner ideale. Le due compagnie danno vita a una fusione operativa con una joint venture integrale. Una formula vincente che consente ad Alitalia di realizzare l’ultimo vero utile d’esercizio della sua storia con la distribuzione di un congruo dividendo. Ne registrerà un altro a inizio 2000 ma derivante da partite straordinarie dovute alla plusvalenza per la vendita di azioni di Klm. Gli olandesi volanti, infatti, il 28 aprile del 2000 annunciarono il divorzio da Alitalia e furono costretti a pagare una penale da 250 milioni di euro. Arriva l’11 settembre del 2001. L’attacco terroristico alle Twin Towers provoca uno tsunami sul trasporto aereo mondiale. Alitalia, già debole di suo, perde colpi e chiude importanti destinazioni intercontinentali. Una ciambella di salvataggio, la compagnia, l’aveva in serbo grazie all’ingresso a luglio 2001 nell’alleanza Skyteam, sottoscritta dall’ad Francesco Mengozzi, con presidente Fausto Cereti, con un incrocio azionario con Air France. Ma da quel colpo Alitalia non riesce a risollevarsi: dopo una breve parentesi con Giuseppe Bonomi presidente e ad Marco Zanichelli, arriva un altro cambio al vertice: nel maggio del 2004 approda Giancarlo Cimoli, con nuovi piani e nel 2007 si apre il fronte della privatizzazione.

A inizio 2008 si stringe la trattativa con Air France ma a far saltare il banco sono le elezioni politiche e Alitalia si prende la scena della campagna elettorale. Silvio Berlusconi annuncia la cordata di patrioti italiani per bloccare l’avanzata francese. Il 2 aprile del 2008, Jean Cyril Spinetta, abbandona il tavolo negoziale al bunker della Magliana. “Per Alitalia ci vuole un esorcista”, dirà in quella fredda sera di aprile il presidente della compagnia Maurizio Prato. Vinte le elezioni, parte l’operazione Fenice, che, sotto la regia di Intesa SanPaolo, mette insieme una cordata aggregando Air One e una ventina di imprenditori italiani, a cominciare da Roberto Colaninno. L ‘investimento in campo è di 1,1 miliardi. Si chiude qui la storia di Lai, finita in amministrazione straordinaria, e comincia quella di Alitalia Cai, Compagnia aere italiana, senza debiti, che rimangono in capo alla vecchia Alitalia, e con un netto taglio ai dipendenti. Sarà una stagione molto breve quella di Cai. La neonata Alitalia, che vede anche l’ingresso di Air France nell’azionariato con il 25%, punta a consolidarsi sul mercato domestico ma è stretta tra la concorrenza sempre più agguerrita delle compagnie low cost e dall’arrivo dell’alta velocità ferroviaria, che chiude l’epoca d’oro della ricca tratta Roma-Milano. Cai procede a un rinnovo della flotta, con l’arrivo di aerei Airbus in ”leasing onerosi” di una finanziaria irlandese in capo alla famiglia Toto di Air One. Ma i conti non decollano. L’obiettivo di turn around si allontana e i bilanci chiudono in perdita. Nel giro di cinque anni, la compagnia cambia tre amministratori delegati: Rocco Sabelli, Andrea Ragnetti e Gabriele Del Torchio. Alitalia brucia cassa e si rende necessaria una nuova ricapitalizzazione alla quale non partecipa Air France, che diluisce così la sua quota. Intanto, sta per aprirsi un nuovo capitolo che sarà ancora più breve, quello di Alitalia Sai. Mentre affondano i conti di Cai, a fine 2013 si pone il problema di una nuova iniezione di capitale. Il dossier è sul tavolo del Governo Letta per poi arrivare su quello del Governo Renzi. Per questo nuovo salvataggio interviene anche Poste Italiane. Parte la ricerca di un nuovo partner e, questa volta, il cavaliere bianco sembra arrivare dalla Penisola Arabica e, per la precisione da Abu Dhabi. È qui che ha il suo hub Etihad, compagnia più piccola rispetto a Emirates e a Qatar Airways, che, però, negli ultimi anni ha fatto registrare una forte crescita con massicci investimenti in flotta. Comincia una serrata trattativa e, alla fine, nell’agosto del 2014 si firma l’accordo che sancisce l’ingresso degli arabi con la quota massima consentita a un vettore extra Ue, il 49%.

Alitalia, targata Etihad, diventa Sai, Società aerea italiana. Decolla il 1 primo gennaio del 2015. Parte con Luca Cordero di Montezemolo presidente e con Silvano Cassano amministratore delegato, co-designato da soci arabi e italiani e manager gradito a James Hogan, il numero uno di Etihad. La prima linea di manager parla molto inglese schierando molti dirigenti anglosassoni. La gestione Cassano dura solo pochi mesi, fino a settembre del 2015. Per i successivi sei mesi Montezemolo dirige la compagnia anche con i poteri da amministratore delegato, finché il 7 marzo 2016 arriva dall’India Cramer Ball, il manager australiano scelto da Hogan. Invece del pareggio operativo, Alitalia continua a registrare perdite: un buco nero nei conti, provocato da una emorragia da due milioni al giorno, che crea forti tensioni tra le banche azioniste ed Etihad. E non convince il nuovo piano industriale di Ball, considerato troppo ottimista sulla voce ricavi. È il 2017 e arriva una nuova impasse. Si tenta il tutto per tutto con una nuova operazione di salvataggio, che prevede una ricapitalizzazione e un accordo con i sindacati. Accordo che viene clamorosamente bocciato da un referendum ad aprile. Il 2 maggio Alitalia Sai viene messa in amministrazione straordinaria. A guidarla arrivano tre commissari Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari. Si parla di una fase transitoria di pochi mesi mentre si avvia la vendita della compagnia. Si affaccia Lufthansa ma fa paura il suo piano di tagli. Nel 2018 prende corpo un’operazione di sistema con la regia delle Fs, con la partecipazione di Atlantia e un partner internazionale, Delta, che però non intende andare oltre il 10%. Arriva anche un nuovo commissario Giuseppe Leogrande. L’eterno dossier è sempre in stallo mentre la pandemia a partire dal marzo del 2020 mette a terra il trasporto aereo globale. Un altro colpo di grazia per la malandata Alitalia. Ma poi il governo giallorosso imprime una sterzata. Con il decreto Cura Italia, viene costituita una nuova compagnia sotto l’ala pubblica, Ita. A guidare la nuova squadra vengono chiamati Fabio Lazzerini ad e Francesco Caio presidente. Comincia una complessa fase di preparazione con la predisposizione del nuovo piano industriale in vista del decollo previsto per la primavera del 2021. Ma Per partire Ita deve avere disco verde da Bruxelles. E la Ue chiede discontinuità. Con queste premesse, il cammino del negoziato tra la Commissione europea e il governo italiano (nel frattempo a Palazzo Chigi è arrivato Mario Draghi) si presenta impervio. Ad aprile la compagnia non parte, il decollo viene ancora rinviato. A giugno l’azionista Mef nomina presidente esecutivo Alfredo Altavilla al posto di Francesco Caio e a luglio arriva il via libera di Bruxelles. Il decollo viene finalmente fissato per il 15 ottobre. L’ultimo miglio è quello più difficile e, soprattutto, più doloroso per quelle migliaia di lavoratori che non sono saliti a bordo di Ita. Chiude la vecchia Alitalia con molte ferite che rimangono aperte.

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