20 ottobre 1562: a Reggio sprofonda Punta Calamizzi

StrettoWeb

L’effetto combinato di un sisma e dello spostamento a sud della foce del Calopinace portarono il 20 ottobre 1562 all’inabissamento di Punta Calamizzi, l’antico approdo naturale e porto di Reggio

L’antico approdo naturale su cui sorgeva il porto di Reggio sprofondò nelle acque dello Stretto di Messina il 20 ottobre del 1562, determinando il tracollo economico della città. Ma quali furono le cause dell’inabissamento di Punta Calamizzi? E cosa sorgeva un tempo in questo lembo di terra che lo storico Tucidide definiva l’Acroterio d’Italia?

Cos’era Punta Calamizzi

Con Punta Calamizzi ci si riferisce al Pallantion (anche chiamato Promontorio Reggino), una lingua di terra che si spingeva per centinaia di metri nel mare dello Stretto e che rappresentava il primo nucleo abitativo di quella che sarebbe diventata la città di Reggio.

Proprio in epoca antica la città sfruttava la sua collocazione geografica come vantaggio poiché questa offriva un porto naturale assicurato dalla Rada Giunchi a nord, che lo proteggeva dai venti provenienti da settentrione e da Punta Calamizzi a sud, in posizione di protezione contro scirocco e libeccio.

Il porto di Reggio fu protagonista in epoca storica della guerra del Peloponneso, quando nel 415 a.C. gli Ateniesi vi approdarono con una flotta di oltre 200 navi. Il porto, secondo quanto riportato dalle evidenze storiche, doveva essere collocato vicino all’attuale fiumara Calopinace, come dimostrato dalla contrazione della città che avvenne più tardi e che la vide ridursi all’area del suo naturale approdo.

Lo storico Tucidide affermava che gli Ateniesi si trovarono nei pressi del tempio di Artemide Fascelide, fondato, secondo tradizione, da Ifigenia e Oreste, figli di Agamennone.
Presso Punta Calamizzi, in particolare si collocava la foce del fiume Apsias, che oggi ha le sembianze della fiumara Calopinace. L’oracolo, tramandato da Diodoro Siculo, che trattava della fondazione della città, riporta che la nave dell’ecista si fermò alla foce del torrente Apsia, definito, non casualmente, il più sacro tra i fiumi.

Tucidide definiva Reggio proprio per il promontorio in questione, come “Acroterio d’Italia” poiché questo lembo di terra appariva come proteso verso la Sicilia altrettanto armoniosamente di quanto accedeva per le decorazioni sommitali dei templi.

In effetti, l’area di Punta Calamizzi costituisce la zona più antica della città, quella abitata originariamente dagli Aschenazi poi dagli Ausoni e infine zona di approdo dei greci che vi fondarono la colonia di Rhegion, la prima delle città-stato in Calabria, che si sarebbe rivelata come una delle più fiorenti.

Lo sprofondamento di Punta Calamizzi

Il Professor Daniele Castrizio, spiega in un articolo, come nel corso del XV e XVI secolo lo sviluppo dell’industria bellica avesse palesato l’esigenza di una nuova fortificazione presso il porto, in grado di ospitare i più moderni cannoni. Tuttavia, non era sufficiente lo spazio per edificarlo e si pensò di costruire dei possenti argini di terra lungo il torrente Calopinace per spostarne la foce a sud di Punta Calamizzi e ricavare lo spazio per poter costruire il Castelnovo.

I lavori cominciati nel 1547, erano stati interrotti già nel 1556 e il 20 ottobre del 1562, tutta Punta Calamizzi sprofondò in mare. Con la lingua di terra, inoltre, si inabissò anche il monastero che vi sorgeva al di sopra.
Come notato dai contemporanei degli eventi, una delle cause principali era da ricercarsi nell’erosione marina operata sul lato meridionale, che Castrizio mette in relazione proprio con lo spostamento della foce del Calopinace proprio a sud di Punta Calamizzi.

Alcune teorie ipotizzano quindi che la deviazione del Calopinace abbia minato il fragile basamento del promontorio, geologicamente instabile, facendolo sprofondare anche se non per tutta la sua estensione.
Il colpo definitivo fu però inferto alla zona precisamente alle 23 del 20 ottobre 1562, quando una forte scossa sismica si abbatté sulla città privandola del suo porto e del suo approdo naturale.
Il CNR ne classifica la scomparsa tra le “frane” (secondo quanto riportato da un testo del 1910, “Studi Geografici sulle Frane in Italia); mentre in altre fonti si parla più genericamente di bradisismo, in altre ancora di movimento naturale del fondo marino.

Sebbene il promontorio di Calamizzi si trovò solo poco sotto il livello del mare, all’evento sopravvisse la Chiesa del Monastero di San Cipriano di Calamizzi che rimase in piedi sino al ben più distruttivo terremoto del 1783.

Certo è che l’inabissamento del promontorio sferrò un duro colpo all’economia di Reggio che a quel punto non aveva più ragione di continuare con la costruzione del Castelnovo, che infatti rimase incompiuto sino alla dine del XVIII secolo.

Le scoperte archeologiche hanno individuato sul fondale di Calamizzi numerosi resti di epoca classica che si possono ricondurre a strutture pubbliche e che archeologi come il Professor Castrizio credono di poter attribuire all’unico edificio attestato storicamente per la zona: cioè l’Artemision di Reggio.

Nel novembre del 2007 una spedizione subacquea sembra aver riportato alla luce i resti dell’antico tempio, proprio il celebre santuario reggino di Artemide Fascelide.
Il fascino della zona però a un visitatore attento potrebbe rivelarsi in un giorno di mare in tempesta, quando si dice che si possano sentire dalla spiaggia di Calamizzi, ancora suonare le campane sommerse.

Condividi