Reddito di cittadinanza o di “Divano di cittadinanza”?

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Inizialmente con il Reddito di cittadinanza il Movimento 5 Stelle sperava di aiutare i disoccupati a trovare un altro lavoro, con l’aiuto dei navigator, sostenendo, nel contempo, la fascia povera del Paese, oggi è diventato uno dei fattori utilizzati dall’opposizione per indebolire ulteriormente questo partito

Una lettera inviata ad Aldo Cazzullo, ed apparsa sul Corssera del 10 settembre us, a firma del lettore Edoardo Rabascini, mi spinge ad occuparmi del reddito di cittadinanza. Si legge: “ho parlato con molti giovani che percepiscono il reddito di cittadinanza. Per mia curiosità chiedevo il motivo per cui non trovassero un lavoro: la crisi, il covid? No! Semplicemente perché facendo due conti conviene loro restare tranquilli ed in sicurezza a casa piuttosto che stancarsi e faticare per poco più di 1000 euro al mese, nella maggior parte dei casi, quando con il reddito di cittadinanza si percepisce quasi la stessa cifra”. Queste parole, con chiarezza, raccolgono il sentiment della maggioranza dell’opinione pubblica verso una misura che è una delle colonne portanti dell’ambizioso e rivoluzionario, almeno così doveva essere, programma politico dei 5 stelle, e che ha consentito loro di vincere le elezioni del 2018. Di quel progetto resta ben poco. Il reddito di cittadinanza sopravvive, tra mille polemiche ed è diventato uno dei fattori utilizzati dall’opposizione per indebolire ulteriormente questo partito. Ricordiamo che tale misura era nata per ‘eliminare la povertà, per come era stato sbandierato, incautamente, da un gruppo di giovanotti e giovanotte, che facevano tenerezza per la passione, sicuramente sincera, con cui richiamavano la storica vittoria, sul balcone di Palazzo Chigi e sotto il vessillo del Paese.

Il disegno, ambizioso, ma chiaramente velleitario per chi era dotato di un po’ di buon senso. Addirittura si sperava di aiutare i disoccupati a trovare un altro lavoro, con l’aiuto dei navigator, sostenendo, nel contempo, la fascia povera del Paese. Con questo semplicistico approccio si trascuravano completamente le politiche attive del lavoro, che sono naturalmente basate su competenza, merito, formazione, e si dava inizio al “divano di cittadinanza” (copyright di Tito Boeri e Roberto Perotti). La misura è partita nell’aprile 2019. Si prevede un impegno di spesa di quasi 18,3 miliardi di euro nel triennio, che non ha generato se non in misura estremamente contenuta nuovi posti di lavoro. A questa situazione è da sommare l’assunzione di 2798 navigator, oggi in numero 2481, e per i quali si avvicina il termini del 31 dicembre, quando scadrà il contratto di collaborazione con AMPAL servizi.

Realisticamente, dobbiamo parlare di un occasione mancata. Essa, comunque, va rivista ma non abolita in coerenza con il pensiero di Draghi che ne condivide il ‘concetto’, ma non, evidentemente, l’approccio attuativo. Innocenzo Cipolletta su il Sole24ore del 7 settembre us, raccoglie bene questa impostazione, titolando: “Il reddito di cittadinanza ha funzionato bene sulla lotta alla povertà, ha fallito sul lavoro”. Esso, argomenta Cipolletta, non poteva non fallire dal momento che si volevano perseguire due obiettivi che non potevano essere raggiunti con lo stesso strumento: il contrasto alla povertà e l’avvio al lavoro dei disoccupati. E aggiunge: “Il reddito di cittadinanza ha costituito un valido strumento per contrastare la povertà e soprattutto è stata una mano santa durante la pandemia perché è riuscita a far affluire a molte persone bisognose un minimo di reddito che ha consentito loro di sopravvivere”. Altro aspetto positivo che questo reddito è stato conferito in maniera automatica da parte dell’Inps con controlli a posteriori. Da qui in ogni caso sono scaturiti abusi di cui si ha notizia quasi quotidianamente. Ciò premesso, considerando alcuni aspetti positivi, non trascurabili, bisognerebbe cercare di migliorarlo, finalizzandolo meglio.

In definitiva, chiariamoci le idee e gli obiettivi, lasciando a casa i nodi ideologici e di bandiera, e tentiamo di avere un approccio razionale e pragmatico, senza “buttare il bambino con l’acqua sporca”. Una domanda da porsi è: esistono le capacità finanziarie per sostenere una tale misura, già da tempo in atto in altri Paesi europei? Se la risposta è positiva, scostiamoci dalle diatribe politiche, aggiustiamo il tiro, usciamo dalle confusioni concettuali (G. Treu) e procediamo nell’interesse dei giovani (anche degli illusi, non per colpa loro e speranzosi, i navigator) e del Paese.

P.S.: Importante elemento di riflessione: il quadro delle assunzioni, stimolato dal processo del reddito di cittadinanza, è in fortissimo ritardo se su 11.600 ingressi previsti nel triennio 2019-2021, ne sono andati in porto poco meno di 1300. In sette regioni meridionali sono a quota zero! Non è che abbia pienamente ragione il lettore Edoardo Rabascini, la cui lettera ho citato all’inizio di questo podcast?

L’articolo è apparso come podcast su www.tfnews.it.

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